Les douze romans finalistes de la 74e édition du Prix Strega - Extraits traduits en français

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In collaborazione con la Fondazione Maria e Goffredo Bellonci, l’Istituto Italiano di Cultura di Parigi è felice di proporvi la lettura di un estratto, in italiano e in francese, dei dodici romanzi finalisti del Premio Strega 2020. Grazie alla varietà delle opzioni narrative e delle scelte stilistiche, i dodici autori selezionati dal Comitato Direttivo del Premio offrono uno spaccato particolarmente ricco e articolato della narrativa italiana contemporanea. L’elezione del vincitore della LXXIV edizione del Premio Strega si svolgerà giovedì 2 luglio 2020 al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma. Augurandovi una piacevole lettura, teniamo a ringraziare Stefano Petrocchi, direttore della Fondazione Maria e Goffredo Bellonci, e naturalmente tutti gli editori che hanno accompagnato e reso possibile questa iniziativa.


En collaboration avec la Fondation Maria et Goffredo Bellonci, l’Institut Culturel Italien de Paris est heureux de vous proposer la lecture d’un extrait en italien et en français, des douze romans finalistes du Prix Strega 2020. Grâce à la diversité des options narratives et des choix stylistiques, les douze auteurs sélectionnés par le comité de direction du Prix offrent un échantillon particulièrement riche et complet du roman italien contemporain. L’élection du lauréat de la 74e édition du Prix Strega aura lieu le jeudi 2 juillet 2020 au Musée National Étrusque de la Villa Giulia à Rome. En vous souhaitant une agréable lecture, nous tenons à remercier Stefano Petrocchi, directeur de la Fondation Maria et Goffredo Bellonci, et bien sûr tous les éditeurs qui ont accompagné et rendu possible cette initiative.

Istituto Italiano di Cultura Paris direzione/direction Fabio Gambaro


.................................................................................................................. LES DOUZE ROMANS FINALISTES DE LA 74e ÉDITION

DU PRIX STREGA (2020) Extraits traduits en français

Silvia Ballestra La nuova stagione (Bompiani, 2019) traduction de Frédéric Sicamois p. 6 Marta Barone Città sommersa (Bompiani, 2020) traduction de Frédéric Sicamois p. 16 Jonathan Bazzi Febbre (Fandango Libri, 2019) traduction de Frédéric Sicamois p. 26 Gianrico Carofiglio La misura del tempo (Einaudi, 2019) traduction de Frédéric Sicamois p. 34 Gian Arturo Ferrari Ragazzo italiano (Feltrinelli, 2020) traduction de Patrick Vighetti p. 42 Alessio Forgione Giovanissimi (NN Editore, 2020) traduction de Patrick Vighetti p. 56

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Giuseppe Lupo Breve storia del mio silenzio (Marsilio, 2019) traduction de Patrick Vighetti p. 76 Daniele Mencarelli Tutto chiede salvezza (Mondadori, 2020) traduction de Patrick Vighetti

p. 86

Valeria Parrella Almarina (Einaudi, 2019) traduction de Jérôme Nicolas p. 94 Remo Rapino Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio (Minimum Fax, 2019) traduction de Jérôme Nicolas p. 102 Sandro Veronesi Il Colibrì (La Nave di Teseo, 2019) traduction de Dominique Vittoz p. 112 Gian Mario Villalta L’apprendista (SEM, 2020) traduction de Jérôme Nicolas p. 118

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SILVIA BALLESTRA La nuova stagione BOMPIANI

Dunque era questo, il diventare definitivamente adul-

te, se non vecchie, mi disse mia cugina una sera che eravamo andate a guardare il tramonto dal belvedere di Montedinove. Disperarsi per una lettera di esproprio invece che per una lettera d’amore finito. Farsi battere il cuore per un pagamento andato a incasso invece che per la voce di quel tipo così affascinante. Piangere per colpa di uno sconosciuto geometra di Collesailcavolo invece che per la partenza di un fidanzato. Stare sveglie la notte per il terrore di aver sbagliato a mettere una firma su un pezzo di carta e non per quella telefonata dall’amato attesa per ore e mai arrivata. Mia cugina mi disse di aver finalmente capito che tutti i casini un po’ fanciulleschi che la gente faceva attorno agli amori e amorazzi erano solo una copertura, una cortina fumogena, per smussare e ignorare ansie e oppressioni relative ai soldi, alle preoccupazioni materiali. Una specie di distrazione. Uno svago più o meno alle-

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Traduction de Frédéric Sicamois

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C’est donc cela devenir définitivement adulte, sinon

vieille, me dit ma cousine un soir que nous étions allées regarder le coucher de soleil du belvédère de Montedinove. Se désespérer pour une lettre d’expropriation plutôt que pour une lettre de rupture amoureuse. Avoir le cœur qui bat pour un paiement désormais encaissé plutôt que pour la voix de ce mec tellement canon. Pleurer à cause d’un technicien géomètre inconnu de Perpèteles-Oies plutôt que pour le départ d’un amoureux. Ne pas dormir la nuit par terreur d’avoir signé au mauvais endroit sur un bout de papier et pas à cause du coup de fil de son bien-aimé attendu pendant des heures et jamais arrivé. Ma cousine me dit avoir enfin compris que toutes ces complications un peu infantiles que les gens se faisaient autour d’amours plus ou moins sérieuses n’étaient qu’une couverture, un rideau de fumée, pour émousser et ignorer les angoisses et les tourments relatifs à l’argent, aux préoccupations matérielles.

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Silvia Ballestra, La nuova stagione ..................................................................................................................

gro e doloroso. E mi disse anche che lei non sapeva cosa preferire, tra i due. Cosa fosse più insulso. “Finché si tratta di cose così,” le dissi. “Cuore, terra, aria, assegni a buon fine, fidi… Che vuoi che sia? Di fronte a tutto questo?” Perché sotto di noi si svolgeva un ammasso di gomitoli in fuga verso le montagne, indorato di verde e arancione scuro e punteggiato di alberi e vallette di sovrumana bellezza e grandiosità che ti rapiva sì, anche mostrandosi solo per brevi attimi, la vista e la mente. Era il nostro luogo, ancora bello anche dopo le ferite non lontane. Oltre il monte dell’Ascensione, sapevi che cominciavano i danni. Era stata colpita una zona così vasta che quasi non riuscivi a circoscriverla neanche se, grosso modo, la conoscevi. Correva per tre regioni e non so quante province. Ridisegnava la topografia del luogo, saltando le divisioni amministrative per unirsi in questa nuova denominazione, “cratere”, quasi extraterrestre, quasi a indicare che quello che era accaduto non era una cosa di questo mondo. Eppure era un fenomeno più che naturale. Era il richiamo più forte che ci fosse a una presa di coscienza sulla terra. Per questo, forse, le persone preferivano ignorarlo e molti, fuori, avevano cominciato a dire: “Andatevene.” E anche: “Non ne vale la pena.”

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Une sorte de distraction. Un divertissement à divers degrés à la fois heureux et douloureux. Et elle me dit aussi qu’elle ne saurait pas lequel choisir, entre les deux. Lequel était le plus idiot. « Tant qu’il s’agit de choses comme ça », lui dis-je. « Cœur, terre, air, chèques provisionnés, crédits… Qu’est-ce que ça peut faire ? Face à tout ça ? » Parce qu’en dessous de nous se déroulait tout un écheveau fuyant vers les montagnes, rehaussé de vert et orange foncé et moucheté d’arbres et de petites vallées d’une beauté et d’une grandeur surhumaines qui, même en n’apparaissant que de courts instants, enchantait vraiment la vue et l’esprit. C’était notre endroit à nous, encore beau malgré les coups récemment portés. Par delà le mont de l’Ascension, tu savais que les premiers ravages avaient eu lieu. Une si vaste zone avait été touchée qu’il en devenait difficile de la circonscrire même si tu en avais grosso modo une idée. Elle s’étendait sur trois régions et je ne sais combien de départements. Elle redessinait la topographie du lieu, ignorant les divisions administratives pour fusionner sous cette nouvelle dénomination, le « cratère », quelque chose d’extraterrestre, quelque chose indiquant que l’origine de ce qui avait eu lieu n’était pas de ce monde. Pourtant c’était un phénomène tout ce qu’il y a de naturel. C’était le rappel le plus fort qui soit à une prise de conscience sur la terre. C’est pourquoi, peut-être, les gens préférait l’ignorer et beaucoup, qui n’étaient pas d’ici,

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Silvia Ballestra, La nuova stagione ..................................................................................................................

Ma era insensato, perché si trattava di centinaia di paesi e di un territorio che forniva nutrimento a tutti: mica ci si poteva ammassare nelle città e vivere di aria sporca e roba sintetica. Non potevi mica trattare la terra come una cartella Excel o spostare e incolonnare le persone in piani quinquennali di novecentesca memoria. C’era una serie di gradazioni fra le città congestionate e i borghi svuotati. Quel territorio era improvvisamente fragilissimo, il terremoto ne aveva scosso le fondamenta lasciandolo solo e impaurito. Sapevamo cosa c’era, ad andare verso l’interno. Edifici chiusi, chiese transennate, costruzioni cerchiate. A Force, paese antico di ramai e calderai, la piazza e il centro storico erano chiusi col nastro bianco e rosso. A Monsampietro Morico idem. A Santa Vittoria in Matenano, certe torrette e smerli di porte d’ingresso alla città erano tenute su con cavi di acciaio e tavolette di legno. A San Ginesio, paese devoto al santo protettore dei mimi e degli artisti, il gotico fiorito della Collegiata era intrappolato in una struttura di tubi che ricordava un gigantesco busto a stecche o la grata di una gabbia. Via via che si andava verso la montagna i danni aumentavano, i sassi in terra si infittivano, le crepe sulle case diventavano profonde e cattive. C’erano posti a cui neanche si poteva pensare di avvicinarsi, sorvegliati da militari con i mitra in braccio. Strade, cittadine, paesi importanti

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avaient commencé à dire : « Allez-vous en ». Ou bien : « Ça n’en vaut pas la peine ». Mais cela n’avait aucun sens, parce qu’il s’agissait de centaines de villages et de territoires qui nourrissaient tout le monde ici : on ne pouvait pas tous s’entasser dans les villes et vivre d’air pollué et de machins synthétiques. Tu ne pouvais pas traiter la terre comme un tableau Excel où déplacer et mettre les gens en colonnes dans des plans quinquennaux comme on faisait au vingtième siècle. Il y avait une série de gradations entre les villes congestionnées et les villages désertés. Ce territoire était soudain devenu exceptionnellement fragile, le tremblement de terre en avait ébranlé les fondations en le laissant seul et apeuré. Mais nous savions ce qu’on y trouvait, en s’enfonçant à l’intérieur. Bâtiments fermés, églises bouclées, constructions bardées. À Force, vieux village de chaudronniers et dinandiers, la place et le centre historique étaient fermés par un cordon blanc et rouge. À Monsampietro Morico idem. À Santa Vittoria in Matenano, certaines tourelles et merlons de portes d’accès à la ville étaient retenus par des câbles en acier et des planches en bois. À San Ginesia, village consacré au saint protecteur des mimes et des artistes, le gothique fleuri de la Collégiale était étouffé sous une structure de tubes qui rappelait un corset ferré ou la grille d’une cage. Plus on allait vers les montagnes, plus les ravages s’ag-

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Silvia Ballestra, La nuova stagione ..................................................................................................................

come Camerino – centro universitario sin dal 1336 – risultavano sigillati, fermi, impigliati in un brutto incantesimo arrivato di notte o al mattino presto di un giorno di cambio di tempo. Come se il passaggio dall’orario estivo a quello invernale avesse significato uno stop al fluire della vita, adesso di certe case, di certe piazze, di certe chiese, non potevi più sapere i colori nell’avvicendarsi della luce: gli ocra, i gialli, il rosa dell’arenaria, dei capitelli, delle argille, e il chiaro dei travertini continuavano a scaldarsi al sole o ingrigire alle piogge lontano da occhi umani, sottratti alle attenzioni e ai suoni di comunità viventi e amorevoli. I palazzetti comunali, quelli dei priori, le case gentilizie, le statue dei papi negli slarghi, gli affreschi azzurro e oro nelle basiliche, i soffitti a cassettoni, i musei, le casette cielo-terra strette le une alle altre nelle piazze salotto, i conventi dei farfensi, le cinte murarie, i portici e le cripte, i mercatali e le fontane, le campane scolpite, le annunciazioni, le pale d’altare, i transetti, le biblioteche con le sale degli stemmi, fino ai gioielli e gioiellini, piccoli e piccolissimi, di pietra e legno e tela, o le case con le cucine esterne accoglienti e misteriose in mezzo alle radure – come le case della fiaba di Riccioli d’Oro – delle frazioni in mezzo ai boschi, Spelonga bella, frazione della crollata Arquata, Pretare, pure frazione della crollata Arquata, paese di pietre tirate dalla Sibilla, tutto questo e anche altro, a salire verso il maceratese e poi addentrarsi verso il reatino, sva-

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gravaient, les cailloux par terre étaient plus nombreux, les fissures sur les maisons devenaient plus profondes et insidieuses. Il y avait des endroits dont on ne pouvait même pas penser s’approcher, surveillés par des militaires le fusil mitrailleur à la main. Rues, petites villes, villages éminents comme Camerino – un centre universitaire depuis 1336 – avaient fini scellés, paralysés, pris dans un mauvais sort tombé la nuit ou tôt le matin d’un jour de changement d’heure. Comme si le passage de l’heure d’été à l’heure d’hiver avait signifié le gel du flux de la vie. À présent, certaines maisons, certaines places, certaines églises, impossible d’en plus connaître les couleurs dans la déclinaison de la lumière : les ocres, les jaunes, le rose du grès, des chapiteaux, des argiles, et le clair des travertins continuaient à se réchauffer au soleil ou se griser sous la pluie à l’écart des yeux humains, soustraits aux attentions et aux sons de communautés pleines de vie et d’amour. Les palais municipaux, ceux des prieurs, des maisons nobiliaires, les statues des papes sur les parvis, les fresques d’or et d’azur dans les basiliques, les plafonds à caissons, les musées, les petites maisons individuelles serrées les unes contre les autres autour des places, les couvents des moines de Farfa, les murs d’enceinte, les portiques et les cryptes, les marchés et les fontaines, les cloches sculptées, les annonciations, les tableaux d’autel, les transepts, les bibliothèques avec les salles des armoiries, jusqu’aux bijoux et bibelots, petits ou minuscules,

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Silvia Ballestra, La nuova stagione ..................................................................................................................

licando per arrivare agli altopiani più o meno conosciuti, seguendo il grande anello dei Sibillini, per raggiungere le dighe di Campotosto, ad avvistare il Gran Sasso, sapendo che L’Aquila è vicina, e le montagne, le montagne sono lì sullo sfondo, bellissime e maestose, azzurre e a pieghe, con le forme inconfondibili come i denti dell’Ascensione sopra Ascoli, il cappellone del monte San Vicino a Camerino, il laghetto a forma di occhio sulla cima del Vettore, insomma tutti i tesori e la bellezza e il quotidiano, tutto, era ferito, interrotto. Immerso nel silenzio. Tutto, o quasi, chiuso. Sentieri chiusi, strade sbarrate, zone interdette.

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de pierre et de bois et de toile, ou les maisons avec les cuisines d’été accueillantes et mystérieuses au milieu des clairières – comme les maisons du conte de Boucle d’Or – des hameaux au milieu des bois, la belle Spelonga, hameau du village écroulé d’Arquata, Pretare, un autre hameau d’Arquata écroulé, village de pierres tirées par la Sybille, tout cela et bien plus encore, en montant vers la région de Macerata puis en s’enfonçant dans la province de Rieti, avant de passer de l’autre côté pour arriver sur les plateaux plus ou moins connus, en suivant le grand anneau des Monts Sibyllins, avant de rejoindre les digues de Campotosto, d’apercevoir le Gran Sasso, en sachant que l’Aquila est tout près, et les montagnes, les montagnes sont là au fond, belles et majestueuses, d’un bleu azur et pleines de plis, aux formes incomparables comme les dents de l’Ascension surplombant Ascoli, le chapeau du mont San Vicino à Camerino, le petit lac en forme d’œil sur la cime du Vettore, bref tous les trésors et la beauté et le quotidien, tout, était blessé, interrompu. Plongé dans le silence. Tout, ou presque, fermé. Sentiers fermés, routes barrées, zones interdites.

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MARTA BARONE Città sommersa BOMPIANI

Ma non ne potevo avere la certezza. La verità è che

anche ora non posso sapere niente di quello che pensava o sentiva. Ho solo questa manciata di racconti altrui, svuotati di ricchezza dal tempo trascorso, distorti dalla memoria. Non posso sapere niente di quello che lui pensava o sentiva, e questa è una condizione irrimediabile. Non solo perché non posso più chiederglielo: ma perché non è possibile, ancor meno possibile rispetto a noi stessi, avere un’idea (figurarsi restituirla) della totalità della vita di un’altra persona. Sappiamo a malapena qualcosa di noi, e spesso quel qualcosa è anche sbagliato. Tra me e lui c’era una distanza incolmabile, che avvertivo sempre più nitidamente man mano che smetteva di essere soltanto mio padre e diventava sopra ogni cosa il mio personaggio, il ragazzo del passato che ancora aveva soltanto un volto sgranato, da pessima fotografia di giornale. Il ragazzo. Come si sentiva dentro il proprio corpo? Come percepiva il mondo sul suo corpo? Ogni tanto, in

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Traduction de Frédéric Sicamois

...................................................................................................................... La traduction française du roman paraîtra aux Éditions Grasset

Mais je ne pouvais en avoir la certitude. La vérité est

qu’encore à présent je ne peux rien savoir de ce qu’il pensait ou savait. Je n’ai que cette poignée de récits rapportés par les autres, vidés de leur substance par le fil fdu temps, déformés par le souvenir. Je ne peux rien savoir de ce que lui pensait ou ressentait, et c’est là une situation irrémédiable. Non seulement parce que je ne peux plus lui demander : mais parce qu’il n’est pas possible, et encore moins possible par rapport à nous-mêmes, d’avoir une idée (sans parler de la restituer) de la totalité de la vie de quelqu’un d’autre. Il est déjà difficile de savoir quelque chose de nous, et souvent ce peu de chose est lui-même erroné. Entre lui et moi, il y avait cette distance infranchissable, que je percevais de plus en plus nettement au fur et à mesure qu’il cessait d’être seulement mon père et devenait avant tout mon personnage, ce garçon du passé qui n’avait encore qu’un visage flou, sur la très mauvaise photographie d’un journal. Ce garçon. Comment se

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Marta Barone, Città sommersa ..................................................................................................................

circostanze casuali, mi capita di rendermi conto a livello cosciente delle mie mani e gambe che si muovono, del calore del sole su una spalla o di altre sensazioni epidermiche, in un modo che si potrebbe definire animale. È difficile da spiegare: è come se per qualche istante prendessi piena consapevolezza del (pieno contatto con il) mio corpo vivente, dei suoi gesti. Sono i momenti in cui mi è più incredibile pensare che dovrò morire. Non si tratta di terrore: la paura, la negazione, il ripudio della morte, mia e degli altri, appartengono ad altri momenti. È proprio incredulità assoluta. Com’è possibile che io un giorno cessi di esistere? Io vivo, vivo! Questi sono gli occhi con cui guardo questo vaso di fiori sul tavolino del balcone, queste sono le orecchie con cui sento il fruscio del vento, questo è il tocco del vento sulla mia nuca. La mia nuca vivente. Io sono viva, è indiscutibile. L’attimo in cui vivo durerà per sempre. Il mio corpo non può avere fine, la mia ragione non può avere fine. Ebbene, quando questo succedeva dopo aver scoperto l’esistenza del ragazzo, a volte il pensiero andava a come poteva aver visto, aver sentito lui, come poteva aver sentito il passaggio del tempo su di sé, il suo corpo nello spazio. Nei tre giorni che passai a Roma per un matrimonio – non ci tornavo dalla mia unica visita, dieci anni prima, alla fine del liceo – mi capitò spesso di pensarci. La sera tardi, mentre con N. e i suoi amici passeggiavamo per

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sentait-il dans son corps ? Comment percevait-il le monde sur son corps ? De temps à autre, dans une circonstance ou une autre, il m’arrive de me rendre compte de façon consciente de mes mains et mes jambes en mouvement, de la chaleur du soleil sur une épaule ou d’autres sensations épidermiques, d’une manière qu’on pourrait qualifier d’animale. C’est difficile à expliquer : comme si un court instant je prenais pleinement conscience du (plein contact avec le) corps vivant qui est le mien, de ses gestes. Ce sont les moments où il me semble le plus incroyable de penser que je vais devoir mourir. Ce n’est pas de la terreur : la peur, la négation, le refus de la mort, la mienne et celle des autres, appartiennent à d’autres moments. C’est vraiment une incrédulité absolue. Comment est-il possible qu’un jour je puisse cesser d’exister ? Je vis, je vis ! Ce sont là les yeux avec lesquels je regarde ce vase de fleur sur la table du balcon, là les oreilles avec lesquelles j’entends le bruissement du vent, là la sensation du vent sur ma nuque. Ma nuque vivante. Je suis vivante, c’est indiscutable. L’instant où je vis durera pour toujours. Mon corps ne peut avoir de fin, ma raison ne peut avoir de fin. Or, quand cela arrivait après avoir découvert l’existence de ce garçon, parfois ma pensée allait à la manière dont il pouvait avoir vu, avoir senti, comment il pouvait avoir ressenti le passage du temps sur lui-même, son corps dans l’espace. Au cours des trois jours que je passai à Rome pour un mariage – je n’y étais pas retourné depuis mon unique vi-

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Marta Barone, Città sommersa ..................................................................................................................

Monti e Trastevere, mi guardavo intorno e provavo un senso di separatezza segreta, come se io e loro ci trovassimo su piani differenti: così era questa la notte in cui lui, cinquant’anni prima, si muoveva. Cinquant’anni. Suonava così irreale, così enormemente lontano. Eppure sentivo la sua presenza con singolare intensità, come vapore azzurro che saliva dai marciapiedi e mi circondava quasi costantemente, anche se continuavo a trovare incredibile che queste cose a me estranee – i palazzi umbertini gialli e rossicci, gli edifici ipertrofici della città millenaria, i pini marittimi dalle chiome scure ampie come papaveri al massimo della fioritura, le scale della facoltà di architettura su cui mi fermai qualche minuto a sentire il rombo del tempo che mi si rovesciava addosso, il viale alberato su cui scendemmo dopo aver visitato la Sapienza, Campo de’ Fiori nella sera di giugno, col bizzarro contrasto tra il languore convenzionale della piazza e la cupa statua di Giordano Bruno – queste cose estranee fossero state un giorno le sue, di quel ragazzo altrettanto estraneo, quel giovane animale libero e puro per il quale provavo quasi un sentimento di fraternità, io che ero ormai più vecchia di quanto fosse lui quando se n’era andato (e anche questo, anche questo era incredibile). E mi chiedevo come fossero passate attraverso i suoi occhi, e quale consistenza avessero per lui; e com’erano stati Valle Giulia e i lunghi mesi che erano seguiti; e come fosse essere L.B. a quell’età, e in quel momento, e in quei luoghi.

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site, dix ans plus tôt, à la fin du lycée – il m’arriva souvent d’y penser. Le soir tard, tandis qu’avec N. et ses amis nous nous promenions entre Monti et Trastevere, je regardais autour de moi et éprouvais un sentiment d’éloignement secret, comme si eux et moi nous trouvions sur des plans différents : telle était donc la nuit que, cinquante ans plus tôt, il arpentait. Cinquante ans. Cela semblait si irréel, si énormément lointain. Et pourtant je sentais sa présence avec une singulière intensité, comme une vapeur bleue azur qui montait des trottoirs et m’enveloppait presque constamment, même si je continuais à trouver incroyable que ces choses qui m’étaient étrangères – les palais jaunes et rougeâtres de l’époque umbertienne, les bâtiments hypertrophiés de la ville millénaire, les pins maritimes aux sombres frondes larges comme des coquelicots au pic de leur floraison, les escaliers de la faculté d’architecture où je m’arrêtais quelques minutes sentir le vrombissement du temps se déverser sur moi, le boulevard planté d’arbres que nous descendîmes après avoir visité l’université de la Sapienza, Campo de’ Fiori un soir de juin, et le contraste bizarre entre la langueur conventionnelle de la place et la sombre statue de Giordano Bruno – que ces choses étrangères aient un jour été siennes, à ce garçon également étranger, ce jeune animal libre et pur pour lequel j’éprouvais presque un sentiment de fraternité, moi qui était désormais plus vieille qu’il ne l’était quand il s’en était allé (et ça aussi, ça aussi c’était incroyable). Et je me

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Ma mi rendevo conto che era impossibile saperlo, come del resto per qualunque altro essere al di fuori di me. Certo, ricostruire lui era ancora più complicato che altri, altri che almeno avevano lasciato documenti, lettere, diari in cui esprimevano qualcosa di sé, che avevano saputo conservare i ricordi, di cui non restavano soltanto impressioni fuggevoli su terzi. Paradossale: della mente di mio padre sapevo appena più di quanto sapessi dei miei avi cancellati – e comunque per interposte persone. Mi era intollerabile pensare a quanto era andato perduto: volevo tutta la vita, nella sua interezza concreta, volevo salvare tutto pur sapendo che non era possibile. L’unicità, la complessità irripetibile di un’onda marina tra le altre. Di un giorno dimenticato della vita di un umano; di un suo solo battito di ciglia. E allo stesso tempo: quante ore, giornate, conversazioni, incontri inutili o marginali si assommano in una vita? Questa contraddizione mi dava le vertigini. Ciononostante restava un desiderio sciocco, ma, credo, naturale, di totalità, di rievocazione della totalità; invece mi ritrovavo a mettere insieme una storia piena di buchi, un granello di polvere insignificante nell’immensa macina sanguinosa della Storia, in cui mancava sempre la voce di chi ne era al centro. E dire che fino a poco tempo prima avevo passato anni fruttuosi a pensare a lui il meno possibile, a rimuovere con successo i ricordi più sgradevoli delle estati in cui lo odiavo e della sua malattia, e di conseguenza quasi tutto

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demandais comment elles étaient passées à travers ses yeux, et quelle consistance elles avaient alors pour lui ; et comment il avait vécu les événements de Valle Giulia et les longs mois qui avaient suivi ; et ce que cela faisait d’être L.B. à cet âge-là, à ce moment-là, dans ces lieux-là. Mais je me rendais compte qu’il était impossible de le savoir, comme d’ailleurs pour quelque être que ce soit en dehors de moi. Bien sûr, le reconstruire à lui était encore plus compliqué que d’autres, d’autres qui au moins avaient laissé documents, lettres, journaux où ils exprimaient quelque chose d’eux-mêmes, qui avaient conservé les souvenirs, dont il ne restait pas seulement des impressions fugaces chez des tiers. Paradoxe : de l’esprit de mon père j’en savais à peine plus que ce que je savais de mes ancêtres effacés – et encore par personnes interposées. Il m‘était intolérable de penser à tout ce qui était dorénavant perdu : je voulais toute la vie, dans son intégralité concrète, je voulais tout sauver tout en sachant que c’était impossible. L’unicité, la complexité sans égale d’une vague sur la mer entre toutes les autres. D’une journée oubliée de la vie d’un humain ; d’un seul de ses battements de cils. Et dans le même temps : combien d’heures, de journées, de conversations, de rencontres inutiles ou marginales s’accumulent dans une vie ? Cette contradiction me donnait le vertige. Et malgré tout demeurait un désir idiot mais, je crois, naturel, de totalité, de ré-évoquer la tota-

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Marta Barone, CittĂ sommersa ..................................................................................................................

il resto. Ăˆ proprio vero che a un certo punto i morti tornano a cercarti, e ti devi sedere al tavolo con loro.

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lité ; alors que je me retrouvais en fait à assembler une histoire pleine de trous, un grain de poussière insignifiant dans l’immense meule de l’Histoire, où manquait toujours la voix de celui qui en était au centre. Et dire que jusqu’à tout récemment j’avais passé de fructueuses années à penser à lui le moins possible, à refouler avec succès les souvenirs les plus désagréables des étés où je le haïssais et ceux de sa maladie, et par conséquent de presque tout le reste. Il est décidément vrai qu’à un moment donné les morts reviennent te chercher, et qu’il te faut t’asseoir à table avec eux.

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JONATHAN BAZZI Febbre FANDANGO LIBRI

Una cosa che non posso cambiare

Una cosa che non posso cambiare.

Ho l’HIV, sono sieropositivo. Sono uno di loro. Non so più chi voglio essere, dicevo ogni volta. Ciclicamente, saranno vent’anni. Non so chi sono, non l’ho mai saputo. Per tutta la vita, finora, ho cercato senza sosta di diventare qualcosa, assumere una forma, incarnarmi: il cantante, il pittore, il giornalista, l’aspirante professore universitario, la filosofia, il kung fu, lo yoga, la letteratura, l’ebraismo, il buddismo, l’animalismo, la chitarra, teoria e solfeggio, il femminismo, la meditazione, la danza classica, l’esoterismo. Vocazioni innumerevoli, durate niente. Magnifico, e poi sempre tutto noioso. Tutte le identità che ho provato ad assumere prima o poi hanno ceduto. Le ho negate, superate, svilite, sono passato in fretta ad altro. Neanche qui, neanche questo – devo essere qualcosa di nuovo.

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Traduction de Frédéric Sicamois

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Une chose que je ne peux pas changer

Une chose que je ne peux pas changer.

J’ai le VIH, je suis séropositif. Je suis l’un d’eux. Je ne sais plus qui je veux être, je disais chaque fois. Cycliquement, ça va faire vingt ans bientôt. Je ne sais pas qui je suis, je ne l’ai jamais su. Toute ma vie durant, jusqu’à présent, j’ai sans cesse cherché à faire quelque chose, à trouver une forme, à m’incarner : le chanteur, le peintre, le journaliste, l’aspirant professeur d’université, la philosophie, le kungfu, le yoga, la littérature, le judaïsme, le bouddhisme, les droits des animaux, la guitare, théorie et solfège, le féminisme, la méditation, la danse classique, l’ésotérisme. Vocations sans nombre, et éphémères. Magnifique, avant que tout ne vire à l’ennui. Toutes les identités que j’ai tenté de trouver ont toujours cédé à un moment donné. Je les ai niées, dépassées, rabaissées, je suis

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Jonathan Bazzi, Febbre ..................................................................................................................

Ora sono stato accontentato. Anch’io ho una qualità stabile da esibire al mondo. Di cui non posso sbarazzarmi. Il mio titolo di studio è un referto medico, l’esito di un prelievo del sangue. I miei corsi di aggiornamento si tengono in ospedale. Fornisco materiale biologico per la ricerca. L’infettivologo è il precettore che mi dà compiti precisi, obiettivi appassionanti. Lavoriamo insieme per farmi restare vivo, e nelle migliori condizioni possibili. Collaboriamo per non fallire con la terapia, per limitarne gli effetti collaterali, per far sì che il mio fegato non si avveleni, che le ossa non si sbriciolino per effetto dell’osteoporosi, che i reni non soccombano per la tossicità delle medicine. Mi emoziona sempre un po’ incontrarlo. Anche gli uomini sanno prendersi cura, anche dei maschi ci si può fidare. HIV, sieropositivo: un’identità decisa dal corpo, la posso riconoscere e accettare, negare o dimenticare, ma lei resta com’è, tale e quale. È paziente anche lei, mi aspetta. Ho l’HIV, sono sieropositivo: cosa significa? Ti faccio paura? Ti faccio schifo? Non è importante, non mi interessa. Sono stato arruolato a mia insaputa nell’esercito degli impuri, degli appestati, dei portatori di un male speciale. Marchio, stigma, vergogna? Autunno 2016, non sento niente. Ogni volta che ci penso, un senso di irrealtà: non mi fa rabbia, non mi imbarazza. Ho l’HIV: significa solo che

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rapidement passé à autre chose. Ici non plus, ça non plus – je dois à nouveau être quelque chose d’autre. Me voilà à présent exaucé. J’ai enfin une qualité stable à présenter au monde. Dont je ne peux pas me débarrasser. Mon diplôme, c’est un dossier médical, le résultat d’une analyse de sang. Ma formation continue a lieu à l’hôpital.Je fournis du matériel biologique pour la recherche. L’infectiologue est le précepteur qui me donne des devoirs bien encadrés, des objectifs passionnants. Nous travaillons ensemble à me faire rester en vie, et dans les meilleures conditions possibles. Nous collaborons à ne pas faire échouer la thérapie, à en limiter les effets collatéraux, pour faire en sorte de ne pas empoisonner mon foie, de ne pas émietter mes os sous l’effet de l’ostéoporose, de ne pas faire succomber mes reins à la toxicité des médicaments. Ça me fait toujours un peu quelque chose d’aller le voir. Les hommes aussi savent prendre soin de l’autre, à un bonhomme aussi on peut faire confiance. VIH, séropositif : une identité décidée par le corps, je peux la reconnaître et l’accepter, la nier ou l’oublier, mais elle reste là, telle quelle. Elle est patiente elle aussi, elle m’attend. J’ai le VIH, je suis séropositif : qu’est-ce que ça veut dire ? Je te fais peur ? Je te dégoûte ? C’est sans importance, pour moi sans intérêt. J’ai été enrôlé à mon corps défendant dans l’armée des impurs, des pestiférés, des porteurs d’un mal exceptionnel. Marque, stigmate, honte ?

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frequento dottori e faccio controlli. Come milioni di altre persone nel mondo fanno per i motivi più disparati. Il resto ce lo metti tu, ce lo mettiamo noi. Settembre, ottobre, novembre: non riesco a sentire di appartenere a questa presunta categoria, non riesco a sentire di essere stato catturato davvero da questa presenza virtuale – polpo, piovra, medusa – che aleggia nell’aria sin dall’adolescenza e che ora è discesa su di me portandosi dietro significati e reazioni che non mi riguardano. Il virus dell’HIV appartiene al mondo, soprattutto. Riguarda più voi, che me. È il risultato di una sovrapposizione di sguardi, strato su strato. Ha una storia e una tradizione che io conosco solo a tratti, che mi stanno alle spalle. Destini, numeri, casi clinici e mediatici, organizzazioni che mi precedono, vicende di cui, per quanto legga e mi informi, so sempre pochissimo. Eppure, certo, allo stesso tempo lui sta dentro di me. Mi attraversa, sfrutta il mio corpo – ma io lo osservo dall’esterno. Lo contemplo da fuori. Vuoto, estraneità: per appropriarmi del titolo, per sentire di essere quello che ora sono, forse mi farebbe bene incontrare persone che ci sono già passate, che ci stanno passando. Andare ai gruppi di sostegno reciproco, ai seminari residenziali – ce n’è uno organizzato tutti gli anni da un’associazione di Bologna, tre giorni di condivisione, tipo ritiro di yoga. Fare i conti con la realtà della mia condizione attraverso

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Automne 2016, je ne sens rien. Chaque fois que j’y pense, comme quelque chose d’irréel : pas de colère en moi, ni d’embarras. J’ai le VIH : en gros je fréquente des docteurs et je fais des contrôles. Comme des millions d’autres personnes dans le monde le font pour les raisons les plus disparates. Le reste tu l’y mets toi, nous l’y mettons nous-mêmes. Septembre, octobre, novembre : je ne parviens pas à sentir que j’appartiens à cette prétendue catégorie, à sentir avoir été véritablement capturé par cette présence virtuelle – poulpe, pieuvre, méduse – qui est là dans l’air depuis l’adolescence et qui est à présent descendue sur moi en apportant avec elle des acceptions et des réactions qui ne me concernent pas. Le virus du VIH a d’abord à voir avec le monde, avant tout. Il vous concerne vous plus que moi. C’est le résultat d’une superposition de regards, couche après couche. Il a une histoire et une tradition que je connais mal, qui sont derrière moi. Destins, chiffres, cas cliniques et médiatiques, organisations qui me précèdent, histoires dont, pour autant que je puisse lire et m’informer, je sais très peu de choses. Pourtant, bien sûr, dans le même temps il est à l’intérieur de moi. Il me traverse, il instrumentalise mon corps – mais moi je l’observe du dehors. Je le contemple de l’extérieur. Vide, extranéité : pour m’approprier ce diplôme, pour sentir être ce que je suis à présent, cela me ferait certainement du bien de rencontrer des gens qui sont déjà passés par là,

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l’esperienza degli altri. Stare in cerchio, vedersi tra simili. Per appropriarmi del titolo forse mi farebbe bene parlarne. A chiunque? A tutti? Col virus voglio farci qualcosa, agire su di lui, modificarlo, non essere inerme, subirlo – mi interessano solo le cose con cui posso imparare. Scriverne, per esempio, sfruttando la mia condizione di privilegiato, di contaminato che non prova vergogna. Rinominare quello che mi è successo, appropriarmene con le parole, per imparare, vedere di più: usare la diagnosi per esplorare ciò che viene taciuto. Darle uno scopo, non lasciarla ammuffire nel ripostiglio delle cose sbagliate. Voglio rimanere là dove sta il dolore, per frammentarlo con le parole e fargli fare un po’ meno male. E poi non sopporto l’idea di sentirmi obbligato, costretto. Il mantello dell’invisibilità ti impone un grado minore di esistenza. I segreti ti fanno muovere meno. Non ho fatto niente di male, non abbiamo fatto niente di male. Chi non la pensa così vuole proteggersi a nostre spese: è un esorcismo, antiche tecniche apotropaiche.

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qui traversent ça en ce moment. Fréquenter les groupes de soutien, les séjours-séminaires – il y en a un organisé tous les ans par une association de Bologne, trois jours de partage, genre stage de yoga. Regarder en face la réalité de ma situation à travers l’expérience des autres. Se mettre en cercle, se voir entre semblables. Pour m’approprier ce diplôme, il serait peut-être bon d’en parler. À n’importe qui ? À tout le monde ? Du virus, je veux en faire quelque chose, agir sur lui, le modifier, et pas être sans défense, le subir – je ne suis intéressé que par ce dont je peux apprendre quelque chose. Écrire par exemple, en tirant parti de ma condition de privilégié, de contaminé qui n’en a pas honte. Redonner un nom à ce qui m’est arrivé, me l’approprier par les mots, pour apprendre, ouvrir les yeux ; utiliser le diagnostic pour explorer ce qui est tu. Lui donner un but, ne pas le laisser moisir dans la penderie des actes regrettables. Je veux demeurer là où la douleur habite, pour que mes mots la décortiquent si bien qu’elle fasse un peu moins mal. Et puis je ne supporte pas l’idée de me sentir obligé, contraint. La cape d’invisibilité t’impose un degré mineur d’existence. Les secrets limitent tes mouvements. Je n’ai rien fait de mal, nous n’avons rien fait de mal. Qui ne le croit pas cherche à se protéger à nos dépens : c’est un exorcisme, antiques pratiques apotropaïques.

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GIANRICO CAROFIGLIO La misura del tempo EINAUDI

Lorenza

Nei miei ricordi di quei mesi ci sono degli squarci im-

provvisi, dei lampi, dove si vede tutto, dove tutto è reale e presente. E lunghi intermezzi che riesco appena a scorgere, come in un sogno indistinto o come attraverso un vetro zigrinato. Manca un ordine cronologico, un vero tessuto connettivo, in quei ricordi. So solo alcune cose. So che portavo sempre con me monetine e gettoni; che i soldi di carta (pochi) li tenevo in tasca fermandoli con una graffetta grande; che avevo un portasigarette che mi aveva regalato un’amica e il Walkman; che usavo un profumo di nome Drakkar. Avevo i capelli abbastanza lunghi. Con Lorenza ci rivedemmo qualche giorno dopo. Venne

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Traduction de Frédéric Sicamois

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Lorenza

Dans les souvenirs que j’ai de cette époque, il y a des

éclats soudains, des éclairs, où je distingue chaque chose, où tout est réel et présent. Et de longs intermèdes que j’arrive tout juste à entrevoir, comme dans un rêve confus ou à travers une vitre en verre dépoli. Il manque un ordre chronologique, un vrai tissu conjonctif, à ces souvenirs. Je ne sais qu’un petit nombre de choses. Je sais que j’avais toujours sur moi de la petite monnaie et des jetons de téléphone ; que les billets (pas beaucoup), je les gardais dans la poche attachés par un gros trombone ; que j’avais un porte-cigarette que m’avait offert une amie et un Walkman ; que je mettais un parfum appelé Drakkar. J’avais les cheveux plutôt longs. Avec Lorenza, on se revit quelques jours plus tard. Elle

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di nuovo a prendermi sotto lo studio, naturalmente senza preavviso. Da allora i nostri rapporti presero un ritmo nevrotico ma, a suo modo, regolare. Non aveva il telefono e quando incontrarci lo decideva lei all’ultimo momento. Sui suoi spostamenti, sul suo lavoro a scuola e su quello che faceva le sere in cui non stavamo insieme, aleggiava un fitto mistero. Ogni tanto mi chiamava a casa, piú spesso in studio. Chiedeva dell’avvocato Guerrieri e la cosa mi infastidiva (lei sapeva benissimo che non ero ancora un avvocato, bensí un semplice praticante procuratore, e lo sapeva la segretaria dello studio che, nel passarmi le telefonate, non riusciva a trattenere un filo di ironia nel tono di voce) e mi lusingava, come si può lusingare un ragazzino che gioca a fare l’adulto. Talvolta pensai di farle rispondere che l’avvocato era fuori studio, cosí, per stabilire il principio che non poteva essere sempre lei a decidere il quando, il dove e il come. Non lo feci mai. Trovava sempre la maniera di provocarmi su qualcosa. Io cercavo di reagire ragionando e lei ribatteva, per esempio, che il mio eccesso di razionalità era il chiaro sintomo di scarsa convinzione, di scarsa padronanza dei temi. Aveva una formidabile capacità di manipolare i discorsi, di sfuggire al dovere di replicare ad argomenti con argomenti. Un talento naturale per le fallacie. Le piaceva che mi innervosissi, mi arrabbiassi, possibilmente perdes-

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passa à nouveau me chercher à la sortie du cabinet, sans avertir naturellement. Dès lors nos rapports prirent un rythme névrotique mais, à sa façon, régulier. Je n’avais pas le téléphone et c’est elle qui décidait quand nous nous verrions, au dernier moment. Sur ses trajets, sur son travail à l’école et sur ce qu’elle faisait les soirs où nous ne voyions pas, flottait un épais mystère. De temps en temps, elle m’appelait à la maison, mais le plus souvent au cabinet. Elle demandait à parler à Maître Guerrieri et je n’aimais pas ça (elle savait parfaitement que je n’étais pas encore avocat, mais simple stagiaire, et la secrétaire du cabinet le savait aussi qui, en me passant les communications, ne parvenait pas à retenir une pointe d’ironie dans la voix) mais j’en étais aussi un peu flatté, comme peut être flatté un gamin qui joue à faire l’adulte. J’imaginai parfois lui faire répondre que Maître Guerrieri s’était absenté du cabinet, voilà, pour établir le principe que ça ne pouvait pas toujours être elle à décider quand où et comment. Je ne le fis jamais. Elle trouvait toujours la manière de me provoquer sur quelque chose. J’essayais de réagir par le raisonnement et elle répliquait, par exemple, que mon rationalisme excessif était un symptôme évident de mon manque de conviction, de ma mauvaise connaissance du sujet. Elle avait une formidable capacité à manipuler les discours, à échapper à l’obligation de répliquer à des arguments par des arguments. Une talent naturel pour les tours fallacieux. Elle aimait que

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si il controllo. Subito dopo facevamo l’amore. Mentre eravamo sul suo letto in via Eritrea, una volta mi domandò: – Per te non è un problema se sto anche con un altro? Risposi qualcosa che non ricordo, mostrandomi disinvolto, mentre una fitta di gelosia mi dilaniava in profondità. Poco dopo le chiesi se ci fosse davvero quest’altro, e chi fosse. Lei cambiò argomento con la consueta, insopportabile vaghezza, che maneggiava come un’arma. Una sera passò a prendermi con un’amica. Andammo alla Taverna del Maltese, mangiammo dei panini, bevemmo diverse birre e del rum, e con il progredire della serata la conversazione si caricò di allusioni e sottintesi. Mi convinsi che avessero deciso di fare una cosa a tre, che quello fosse il loro obiettivo fin dall’inizio della serata. Ma appena uscimmo dal locale mi accompagnarono a casa. Avevano un altro impegno, mi disse quasi cinguettando Lorenza mentre mi salutavano e io rimanevo lí come un cretino. Un pomeriggio, invece, la riconobbi su un’Audi blu con un uomo di una quarantina d’anni; erano fermi a un semaforo di corso Vittorio Emanuele. Lui emanava ricchezza, potere e virilità. Mi sentii stupido, inferiore, umiliato, ma quando la rividi, forse due giorni dopo, non ebbi il coraggio di farle domande. Solo in poche occasioni sembrava distrarsi dal suo personaggio. Per esempio quando chiacchieravamo di libri.

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je m’énerve, je me mette en colère, voire que je perde le contrôle. Immédiatement après nous faisions l’amour. Tandis que nous étions sur son lit à Via Eritrea, elle me demanda un jour : – Pour toi ce n’est pas un problème si je suis aussi avec un autre ? Je répondis je ne sais plus quoi, en affichant ma désinvolture, alors qu’un élan de jalousie me transperçait l’estomac. Peu après je lui demandai si cet autre existait vraiment, et qui il était. Elle changea de sujet à sa façon habituelle, sibylline et insupportable, qu’elle maniait comme une arme. Un soir elle passa me chercher avec une amie. Nous allâmes à la Taverna del Maltese, pour manger un sandwich, boire quelques bières et du rhum, et au fur et à mesure de la soirée, la conversation de chargea d’allusions et de sous-entendus. Je finis par me convaincre qu’elles avaient décidé de faire quelque chose à trois, que c’était leur objectif dès le début de la soirée. Mais une fois sortis du bar, elles me raccompagnèrent chez moi. Elles avaient un rendez-vous ailleurs, me dit Lorenza un peu sur le ton de la plaisanterie au moment de me saluer et moi je restais là comme un con. Un après-midi en revanche, je la reconnus dans une Audi bleue avec un homme d’une quarantaine d’années ; ils étaient à un feu rouge sur le Corso Vittorio Emanuele. Il respirait la richesse, le pouvoir et la virilité. Je me sentis idiot, inférieur, humilié, mais quand je la revis deux jours plus tard, je n’eus pas le courage de lui poser de questions.

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Allora emergeva una passione rabbiosa, autentica, addirittura commovente. Fu lei a farmi conoscere Yasunari Kawabata, Sylvia Plath, Fernando Pessoa, Luciano Bianciardi, Anna Achmatova e altri. Mi parlava di un autore e io andavo subito a comprare un suo libro perché, anche se non lo avrei mai ammesso, volevo far bella figura con lei. Poi, però, li leggevo davvero, e i miei occhi si spalancavano su mondi e storie e idee di cui prima ignoravo l’esistenza. Di tutte le nostre conversazioni sui libri ce n’è una che non ho piú dimenticato. L’argomento erano le fiabe. – Se vuoi capire il lato oscuro che è dentro ognuno di noi, – mi disse, – rileggi le fiabe classiche. Subito sotto la superficie troverai cose che ti lasceranno sgomento. L’ambiguità dell’amore, per esempio, che non è mai puro, ma sempre intrecciato alla collera, al rancore, anche all’odio. Pensa a tutte le storie in cui la mamma non c’è piú e il suo posto è stato preso da una matrigna cattiva su cui il bimbo può scaricare la rabbia senza l’ansia di distruggere l’oggetto d’amore. Pensa alle fiabe che raccontano di bambini abbandonati. Pollicino, o La piccola fiammiferaia, per me la piú terribile. Parlano di miseria, di malattia, di morte. Altro che racconti per bambini. Leggi le fiabe e troverai la chiave piú potente per capire la natura del male e della paura racchiusi nell’animo umano.

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Elle ne semblait sortir de son personnage qu’à de rares occasions. Par exemple quand nous parlions littérature. Alors se faisait jour une passion colérique, authentique, presque émouvante. C’est elle qui me fit faire la connaissance de Yasunari Kawabata, Sylvia Plath, Fernando Pessoa, Luciano Bianciardi, Anna Achmatova, entre autres. Elle me parlait d’un auteur et j’allais immédiatement acheter un de ses livres parce que, même si je ne l’aurais jamais reconnu, je cherchais à lui faire bonne impression. Mais bon, ensuite je les lisais vraiment, et j’ouvrais les yeux sur des mondes, des histoires, des idées dont j’ignorais jusqu’alors l’existence. De toutes nos conversations littéraires, il y en a une que je n’ai jamais oubliée. Nous parlions des contes. – Si tu veux comprendre la part d’obscur qu’il y a en chacun de nous – me dit-elle – relis les contes classiques. Sous la surface immédiate, tu trouveras certaines choses qui te laisseront médusé. L’ambiguïté de l’amour par exemple, qui n’est jamais pur, mais toujours mêlé de colère, de rancœur, de haine parfois. Pense à toutes les histoires où la mère n’est plus là, sa place a été prise par une méchante marâtre sur laquelle l’enfant peut déverser sa colère sans l’angoisse de détruire l’objet d’amour. Pense aux contes qui parlent d’enfants abandonnés. Le Petit Poucet, ou La Petite Fille aux allumettes, le plus terrible je trouve. Ils parlent de misère, de maladie, de mort. Des histoires pour les enfants, vraiment ? Lis les contes et tu trouveras la plus puissante des clés pour comprendre la nature du mal et de de la peur que renferme l’âme humaine.

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GIAN ARTURO FERRARI Ragazzo italiano FELTRINELLI

Un mare fatto così bisogna dire che non se l’aspet-

tava proprio. Pensava a distese verdi, giardini o anche campi, che scendevano dolcemente, poi cominciava la spiaggia, poi l’acqua. Dune, siepi, cespugli, rocce, scogli, piccole anse trasparenti, pesci, stelle marine, conchiglie. Anche palme. Qui invece c’era un muro con una porta, il muro del parco della villa, con sopra una fila di cocci di bottiglia, aguzzi. Loro passavano per la porta e come uscivano ecco subito l’acqua, in mezzo una striscia stretta – pochi metri – di sassetti, e quella era la spiaggia. Lì si dovevano cavare la blusa e i pantaloncini della divisa, entrambi color cenere, e restare solo con il costume da bagno che portavano sotto, di maglia nera. La lana pungeva. Piegati i vestiti, ci si sdraiava sui sassetti, un quarto d’ora a pancia in su, un quarto d’ora a pancia in giù, non oltre perché se no ci si scottava. Seguiva il bagno, dieci minuti con l’acqua, piuttosto fredda, fino in vita, non di più perché le vigilatrici, anche loro costumi di lana e

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Traduction de Patrick Vighetti

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Il ne s’attendait pas du tout à une mer comme cela. Il

imaginait des étendues vertes, des jardins ou même des champs, en pente douce, ensuite la plage, et enfin l’eau. Des dunes, des haies, des buissons, des rochers, des récifs, de petites anses aux eaux transparentes, des poissons, des étoiles de mer, des coquillages. Des palmiers, aussi. Ici, en revanche, se dressait un mur avec une porte, le mur du parc de la villa, hérissé de tessons de bouteilles, très coupants. Ils franchissaient la porte et, aussitôt, c’était l’eau, après une étroite bande — de quelques mètres — de galets, qui formait la plage. Là, ils devaient enlever la blouse et la culotte courte de leur uniforme, le tout gris cendré, et ne garder que leur maillot de bain qu’ils portaient en dessous, en laine noire. La laine piquait. Leurs vêtements pliés, ils s’étendaient sur les galets, un quart d’heure sur le dos, un quart d’heure sur le ventre, pas plus pour ne pas brûler. Suivait le bain, dix minutes, l’eau, plutôt froide, jusqu’à la taille, pas davantage, car les monitrices, elles aussi en maillots de laine et l’air grin-

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musi lunghi, non volevano né rischi né seccature, vedi mai che qualcuno finisse con la testa sott’acqua, si soffocasse, annegasse, per carità! Già non era il massimo passare l’estate dei vent’anni in compagnia di quei bambinetti. In acqua non si poteva fare niente, tranne qualche schizzo, bisognava stare fermi e in piedi, pesci niente, neanche l’ombra. Poi un altro quarto d’ora sopra e uno sotto ad asciugarsi al sole. Sdraiato a pancia in giù con il costume bagnato, Ninni vedeva da una parte il muro, dall’altra il mare con le sue ondine e la sua piccola risacca e in fondo alla cosiddetta spiaggia le gru di un cantiere navale con in mezzo una cosa che sporgeva, rossa e nera. A Ninni piaceva pensare che fosse la prua di una nave, ma temeva fosse un capannone. Dopo mezz’ora di quel pallido sole, si faceva conto che ci si fosse asciugati. Ma non era così, la lana nera aveva la proprietà di restare perennemente umida e la capacità di attirare tutta la sabbia che si annidava tra sassetto e sassetto. Il che dimostrava che dopo tutto anche a loro, seppure non nella versione sfolgorante delle illustrazioni, era dato avere una spiaggia o almeno la relativa sabbia. Anzi, se la portavano addosso. Considerato poi che non c’erano docce, neanche per le vigilatrici, il mare e la spiaggia rimanevano per così dire sempre presenti, sempre con loro, nel senso che una volta tolto il costume si restava tutto il giorno salati, vagamente insabbiati e umidicci. Ma siccome era una condizione generale, nessuno ci faceva caso.

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cheux, ne voulaient ni risques ni ennuis, pour peu que l’un d’eux se retrouve la tête sous l’eau, qu’il suffoque, qu’il se noie, mon dieu ! Eh non, ce n’était pas drôle de passer l’été de leurs vingt ans en compagnie de ces gosses. Dans l’eau, on ne pouvait rien faire, à part quelques éclaboussures, il fallait rester immobile et debout, pas de poisson, pas même l’ombre d’un. Ensuite, encore un quart d’heure sur le dos et un autre sur le ventre pour se sécher au soleil. Étendu sur le dos, son maillot mouillé, Ninni voyait d’un côté le mur, de l’autre la mer avec ses vaguelettes et son léger ressac et, tout au bout de ce semblant de plage, les grues d’un chantier naval, avec au milieu un truc qui dépassait, rouge et noir. Ninni s’amusait à y voir la proue d’un navire, mais il craignait que ce ne fût qu’un hangar. Au bout d’une demi-heure de ce soleil pâle, on était censés être secs. Mais ce n’était pas le cas, la laine noire avait la propriété de garder longtemps l’humidité et la capacité d’attirer tout le sable niché entre les galets. Ce qui prouvait bien, après tout, qu’ils avaient eux aussi, certes pas dans la version éblouissante des illustrations, une plage, ou du moins le sable d’une plage. Même, ils l’emportaient avec eux. Étant donné l’absence de douches, y compris pour les monitrices, la mer et la plage restaient pour ainsi dire toujours présentes, toujours avec eux, au sens où, une fois le maillot enlevé, on demeurait toute la journée salés, vaguement ensablés et humides. Mais comme c’était la condition générale, personne n’y prêtait attention.

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Si mangiava negli scantinati della villa, malissimo. Tra le panche passavano pentoloni di alluminio ammaccati, donne colossali vi immergevano braccia come enormi cotechini e ne cavavano cucchiaiate (forconate? palate?) di una massa informe, la cosiddetta pastasciutta (ma asciutta dove? come? era una spugna fradicia), che venivano poi sbattute nei piatti. In quei medesimi piatti, al secondo giro di pentoloni, finivano palate di pomodori tagliati a pezzi e sconditi. Siccome non c’era altro, Ninni se ne ingozzava, al punto che una notte stette male, vomitò tutto e per i dieci anni successivi non toccò più un pomodoro. Al pomeriggio, dopo una siesta che le vigilatrici prolungavano fino all’estremo limite per farsi i fatti propri, toccava alla passeggiata, nel raggio di un paio di chilometri dalla villa, e poi ai giochi nel parco. Di gruppo, in teoria, e coordinati dalle maestre, ma quando le maestre medesime si mettevano a chiacchierare tra loro, a fumare di nascosto, a sognare vacanze migliori con costumi da bagno veri, balli e giovanotti con motorette – a quelli con le macchine non osavano neanche pensare, erano fuori dalla loro portata –, quando insomma la sorveglianza si allentava – “Tanto sono chiusi qua dentro, cosa vuoi mai che succeda” –, i ragazzini si mettevano a giocare normalmente, come in un grande cortile. Dopo la cena, Ninni si avviava verso la ex casetta del custode che fungeva adesso da infermeria. Per ovviare

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On mangeait dans le sous-sol de la villa, fort mal. Au milieu des bancs passaient les grandes marmites en aluminium toutes cabossées, des femmes colossales y plongeaient des bras tels d’énormes saucissons, en retiraient des louchées (des fourchées ? des pelletées ?) d’une masse informe, les prétendues pâtes sèches (comment ça, sèches ? Une vraie éponge dégoulinante !), et vous flanquaient ça dans votre assiette. Dans ces mêmes assiettes, au second tour de marmites, atterrissaient des pelletées de tomates coupées en morceaux et non assaisonnées. Comme il n’y avait rien d’autre, Ninni s’en gavait, au point qu’une nuit il s’était senti mal, qu’il avait tout vomi et que, pendant dix ans, il n’avait plus touché une tomate. L’après-midi, après une sieste que les monitrices prolongeaient jusqu’à l’extrême limite pour vaquer à leurs propres affaires, venait le moment de la promenade, dans un rayon de deux kilomètres autour de la villa, suivie des jeux dans le parc. Des jeux de groupe, en théorie, et organisés par les maîtresses, mais dès que ces dernières se mettaient à bavarder entre elles, à fumer en cachette, à rêver de meilleures vacances avec de vrais maillots de bain, des bals et des jeunes gens en scooter — ceux dotés d’une voiture, elles n’osaient même pas y songer, ils étaient hors de portée —, bref, dès que la surveillance se relâchait — « de toute façon, ils sont parqués là-dedans, que veux-tu qu’il arrive » —, les gamins se mettaient à jouer normalement, comme dans une grande cour de récréation.

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alla sua stitichezza cronica, che si sarebbe senz’altro aggravata – diceva – con il sole e il caldo del mare, la mamma si era fatta prescrivere dal malleabile dottore meridionale, non dallo sbrigativo dottor Ambrosetti che l’avrebbe mandata a quel paese, un lassativo particolarmente efficace. Ninni doveva prenderne un cucchiaione ogni sera, cosa che faceva senza la minima difficoltà perché la medicina era sì molto amara, ma di un amaro alla fine piacevole, gustoso. Cucchiaione e lassativo erano amministrati da una di quelle orchesse della cucina in veste d’infermiera, avvolta per l’occasione in un gran camice bianco che, bisogna dirlo, la trasformava, le conferiva un’aria di autorità benevola. Mentre tornava solo verso la villa, nel buio che calava, Ninni sentiva che si stava adattando al ritmo molle e indolente della colonia. Gli sembrava di capire, confusamente, che esistevano modi di vivere diversi da quelli cui era stato fino a quel momento abituato. Scopriva una vita quotidiana singolarmente vuota, priva di doveri, priva di obblighi, se non quelli elementari connessi alla sopravvivenza. Niente scuola, niente compiti come a Milano, ma anche niente frequentazioni, niente riti come a Querciano. Una vita priva anche, e del tutto, di legami affettivi, da quelli con i familiari più stretti a quelli con i compagni di scuola, gli amici, i conoscenti. Per la prima volta in vita sua era solo. Nessuno lo conosceva e lui non conosceva nessuno. Prima di partire ne aveva avuto paura, si era

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Après dîner, Ninni se dirigeait vers l’ancienne maison du gardien, qui abritait à présent l’infirmerie. Pour remédier à sa constipation chronique, qui risquait sinon de s’aggraver — disait-elle — à cause du soleil et de la chaleur de la mer, sa maman s’était fait prescrire par le malléable docteur méridional, et non par l’expéditif Dr Ambrosetti qui l’aurait envoyée sur les roses, un laxatif particulièrement efficace. Ninni devait en prendre une grande cuillerée tous les soirs, ce qu’il acceptait sans la moindre difficulté, car le médicament était certes fort amer, mais d’une amertume finalement agréable, goûteuse. La cuillerée de laxatif était administrée par une des ogresses de la cuisine qui faisait fonction d’infirmière, revêtue pour l’occasion d’une grande blouse blanche qui, il faut le reconnaître, la transformait et lui conférait un air d’autorité bienveillante. Tandis qu’il retournait seul vers la villa, à la nuit tombante, Ninni sentait qu’il s’adaptait au rythme mou et indolent de la colonie. Il saisissait, confusément, qu’il existait des façons de vivre autres que celles auxquelles il avait été habitué jusque-là. Il découvrait une vie quotidienne singulièrement vide, sans devoirs, sans obligations, si ce n’est ceux, élémentaires, liés à la survie. Pas d’école, pas de devoirs à faire comme à Milan, mais pas non plus de fréquentations, ni de rites comme à Querciano. Une vie privée aussi, et totalement, de liens affectifs, ceux avec ses parents les plus proches et non moins ceux avec ses camarades d’école, ses amis, ses connaissances.

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anche chiesto se ce l’avrebbe fatta. Ora che ci si trovava dentro, gli sembrava di oscillare. Certo, non era seguito, accudito, assistito, guidato come d’abitudine. Non c’era calore intorno a lui, quella specie di cuscino che assorbiva ogni urto. Gli mancava, lo sentiva a volte acutamente e ne soffriva. D’altra parte però nessuno gli chiedeva nulla, lo obbligava a nulla, non doveva impegnarsi in nulla. Non era neppure necessario estenuarsi nella continua triangolazione tra babbo, mamma e nonna. Sdraiato sulla spiaggia, nelle passeggiate, nelle poche parole scambiate a tavola o prima di dormire, poteva dire cose senza importanza e intanto starsene a pensare a quello che aveva dentro, al suo mondo. Come vivere su due piani separati, senza che il secondo, con il suo carico di emozioni, interferisse mai con il primo, come invece capitava nella vita normale. Gli sembrava di essere sospeso a mezz’aria in un limbo, grigio e immenso, increspato da minuscole onde, come il mare che guardava mentre stava a pancia in giù sulla spiaggia di piccoli sassi. Strano, forse un po’ inquietante, ma non sgradevole. Aveva l’impressione che anche agli altri ragazzini, a quelli isolati come lui, succedesse più o meno lo stesso. Non c’erano occasioni per mettersi in mostra. Tutti avevano rapporti buoni, o almeno neutri, con gli altri, parevano acquietati. Ognuno aveva per il suo prossimo un moderato interesse, ognuno sapeva che di lì a qualche settimana non l’avrebbe rivisto mai più.

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Pour la première fois de sa vie, il était seul. Personne ne le connaissait, et il ne connaissait personne. Avant son départ, cela lui avait fait peur, il s’était même demandé s’il le supporterait. À présent qu’il se trouvait là, il avait l’impression d’osciller. Certes, il n’était pas suivi, soigné, assisté, guidé comme d’habitude. Il n’y avait pas de chaleur autour de lui, cette espèce de coussin qui absorbait le moindre choc. Cela lui manquait, il le ressentait parfois de manière aiguë et il en souffrait. Mais, d’un autre côté, personne ne lui demandait rien, ne l’obligeait à rien, il ne devait s’engager en rien. Il ne lui était même pas nécessaire de s’épuiser dans la triangulation continuelle entre papa, maman et grand-mère. Étendu sur la plage, lors des promenades, dans les quelques mots échangés à table ou avant de dormir, il pouvait tenir des propos sans importance tout en se consacrant à ce qu’il enfermait en lui, à son monde intérieur. C’était comme vivre sur deux plans séparés, sans que le second, avec sa charge d’émotions, n’interfère jamais avec le premier, comme cela se produisait au contraire dans la vie normale. Il lui semblait flotter dans une sorte de limbe, gris et immense, ridé de minuscules vagues, comme la mer qu’il regardait couché sur le dos, sur la plage de petits galets. Étrange, un peu inquiétant même, mais pas désagréable. Il avait l’impression que les autres enfants eux aussi, les isolés comme lui, connaissaient à peu près la même expérience. Il n’y avait aucune occasion de se mettre en avant. Tous en-

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Rispetto alla vita a casa, le scelte individuali erano ridotte al minimo. Tutto, orari, abbigliamento, modo di occupare la giornata, scendeva dall’alto. Non c’era niente da decidere, niente da scegliere. Ma nello stesso tempo erano esclusi gli arbìtri, le imposizioni, i capricci di qualsiasi autorità. Troncati i legami con il nido, eliminati in pratica obblighi e doveri, uniformato l’uniformabile, Ninni, con suo intimo stupore, scoprì che rimaneva ed esisteva altro. Esisteva lui. Che non si riduceva a quella fittissima rete che lo connetteva al mondo, ma era qualcosa di diverso, forse sempre esistito ma che solo adesso, in quella realtà sospesa e vuota che la colonia aveva creato, si poteva finalmente vedere. Nel posto dove avrebbe dovuto essere più solo e più in balìa di forze estranee, Ninni scoprì che dentro di sé stava crescendo qualcosa di nuovo. Si stava creando uno spazio tutto suo, un osservatorio in cui potersi ritirare e guardare a quel che gli succedeva intorno senza esserne immediatamente travolto. La mamma gli scriveva una lettera a settimana e lui rispondeva. Voleva soprattutto sapere cose pratiche. Se il lassativo funzionava, se mangiava, come e quanto. Lui ci pensò su, si figurò la mamma che leggeva la sua lettera e scrisse che il lassativo andava a meraviglia e che si mangiava benissimo. Elencò anche i piatti che lei sapeva che gli piacevano. Scoperta la propria autonomia, aveva anche scoperto come mentire. A fin di bene, naturalmente.

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tretenaient de bons rapports, ou du moins neutres, avec les autres, et paraissaient apaisés. Chacun montrait pour son prochain un intérêt modéré, chacun savait que, d’ici à quelques semaines, il ne le reverrait plus jamais. Par rapport à la vie à la maison, les choix individuels étaient réduits au minimum. Tout, horaires, habillement, façon d’occuper sa journée, venait d’en haut. Il n’y avait rien à décider, rien à choisir. Mais, en même temps, les abus étaient exclus, les contraintes, les caprices d’une quelconque autorité. Les liens avec le nid coupés, les obligations et les devoirs pratiquement éliminés, l’inadaptable adapté, Ninni, dans une stupeur intérieure, découvrit qu’il restait et qu’il existait autre chose. Il existait lui. Il ne se réduisait pas à ce réseau très dense qui le reliait au monde ; il était quelque chose de différent, qui avait sans doute toujours existé, mais que, seulement maintenant, cette réalité en suspens et vide que la colonie avait suscitée lui révélait enfin. À la place où il aurait dû être plus seul et plus à la merci de forces étrangères, Ninni découvrit que, en lui, grandissait quelque chose de neuf. Voilà qu’il se créait un espace à lui, un observatoire où se retirer pour regarder ce qui se passait autour de lui sans en être immédiatement investi. Sa maman lui écrivait une lettre par semaine, et il lui répondait. Elle voulait surtout s’informer de détails pratiques. Si le laxatif fonctionnait, s’il

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mangeait, comment et suffisamment. Il y réfléchit, il imagina sa maman en train de lire sa lettre, et écrivit que le laxatif marchait à merveille et qu’on mangeait très bien. Il énuméra même les plats qu’elle savait qu’il aimait. En découvrant sa propre autonomie, il avait découvert aussi comment mentir. Pour la bonne cause, naturellement.

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C’era stato un tempo in cui Petrone aveva fatto la dif-

ferenza. Terzino sinistro, recuperava il pallone e partiva, come un razzo, a testa bassa, dalla nostra area di rigore fino a quel­la avversaria. Dal cerchio di centrocampo, dove io giocavo, l’unica cosa che vedevo distintamente erano le suole bianche delle sue scarpe, che diventavano scie luminose e n’ero come ipnotizzato. Cercavo di seguirle ma era una questione di attimi, secondi e poi nulla più: s’alzava la polvere, marrone e fitta, e lui scompariva. Più volte, a guardarlo, avevo ipotizzato che nascosto nel suo corpo ci fosse un qualche tipo di motore o che provenisse da un’altra galassia. Lo osservavo, e mi sentivo uno spettatore e come me anche tutti gli altri, tanto che se Petrone segnava nessuno correva a festeggiarlo ed era in quei momenti che credevo fosse molto solo. Quando, con il pallone sottobraccio e la schiena piegata, tornava verso la nostra metà campo.

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Traduction de Patrick Vighetti

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À un moment donné, Petrone avait fait la différence.

Arrière gauche, il récupérait le ballon et partait comme une fusée, tête baissée, de notre surface de réparation jusqu’à celle de l’adversaire. Du rond central, où moi je jouais, tout ce que je voyais distinctement, c’était les semelles blanches de ses chaussures, qui devenaient des sillages lumineux, qui m’hypnotisaient. J’essayais de les suivre, mais c’était une question d’instants, de secondes, et puis plus rien : la poussière volait, marron, dense, et il disparaissait. Plusieurs fois, en le regardant, j’avais imaginé que son corps recelait une sorte de moteur secret, ou qu’il provenait d’une autre galaxie. Je l’observais, et je me sentais comme un spectateur, et tous les autres comme moi, si bien que, quand Petrone marquait, personne n’accourait le fêter, et c’est dans ces moments-là qu’il devait être bien seul. Lorsque, le ballon sous le bras et le dos voûté, il regagnait notre moitié de terrain. Par la suite, j’ai commencé à penser que c’était pour

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Da un certo punto in poi cominciai a pensare ch’era per combattere la solitudine che agli allenamenti lo accompagnava la madre, anche perché il padre faceva il fruttivendolo e lavorava giorno e notte e lei aveva i capelli tinti di rosso acceso, possedeva tantissime paia di scarpe ed era l’unica a fare la bella vita in quella famiglia. In più, fumava delle sigarette lunghe e sottili. La domenica, mentre ci riscaldavamo, prima di giocare, mi giravo verso gli spalti e lei parlava con mio padre ed io mi chiedevo a cosa lui pensasse. Soprattutto, se pensava alla mia stessa cosa, perché tornavamo a casa e mi chiudevo nel bagno e mi facevo un pesce in mano sulla madre di Petrone. Mi calavo le mutande e sedevo sulla tazza, con gli occhi chiusi, per non rischiare di vedermi riflesso. Le mie gambe erano ancora lisce come vermi, mentre su quelle di Petrone c’erano peli spessi e neri e quelle della madre erano proprio belle, le desideravo e desideravo che m’uscissero i peli pure a me, perché era per quel motivo che Petrone faceva la differenza. Perché aveva fatto lo sviluppo ed era diventato uomo prima di tutti quanti noi. Poi ci uscirono i peli e lui aveva già la barba. Se la lasciava crescere ma s’illudeva, perché ora­mai il tempo in cui faceva la differenza era bello che finito. E con quello anche il rispetto. Cominciò a venire agli allenamenti da solo, perché ci sentì scherzare. Si prendeva il c12 e camminava pure ed io avevo quattordici anni da due mesi. Il campionato era

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combattre sa solitude que sa mère l’accompagnait à l’entraînement, car son père vendait des fruits et légumes et travaillait jour et nuit. Elle avait les cheveux teints en rouge vif, elle possédait d’innombrables paires de chaussures et elle était la seule à mener la belle vie dans cette famille. En plus, elle fumait des cigarettes longues et fines. Le dimanche, tandis qu’on s’échauffait, avant de jouer, je me tournais vers les tribunes : elle discutait avec mon père, et je me demandais à quoi il pouvait bien penser. Surtout, s’il pensait à la même chose que moi, car, moi, dès que nous rentrions à la maison, je m’enfermais dans la salle de bains et je m’astiquais en songeant à la mère de Petrone. Je baissais mon caleçon et m’asseyais sur la cuvette des toilettes, les yeux fermés, pour ne pas risquer de me voir dans la glace. Mes jambes étaient encore nues comme des vers, tandis que celles de Petrone arboraient des poils épais et noirs ; celles de sa mère étaient bigrement belles, je les désirais, et je désirais que les poils me poussent à moi aussi, car c’était pour ça que Petrone faisait la différence. Car il s’était développé, il était devenu un homme avant nous tous. Puis nos poils avaient poussé, mais lui il avait déjà de la barbe. Il se la laissait pousser, mais il se faisait des illusions : désormais, l’époque où il faisait la différence était bel et bien terminée. Et avec elle aussi le respect. Il a commencé à venir à l’entraînement tout seul, car il avait entendu nos allusions. Il prenait le c12, puis il finissait à pied ; moi, j’avais quatorze ans depuis deux mois. Le championnat

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cominciato da tre giornate e Petrone era in ritardo e stavamo riuniti nel cerchio di centrocampo, a parlare della partita della domenica precedente. Le avevamo vinte tutte ma il Mister non era soddisfatto, perché avevamo preso un goal da deficienti, così aveva detto. «Se volete vincere davvero non dovete sedervi, ma continuare a lottare». Questo ci stava dicendo quando Petrone comparve. Il Mister lo guardò e subito se ne accorse. «Brutto ricchione!» gli disse. «Buonasera» rispose Petrone e poi sorrise. «Che hai fatto?» gli chiese portandosi le mani alle guance e anche tutti gli altri capirono che non si riferiva al ritardo, ma alla barba, ch’era scomparsa per lasciare il posto a due basette lunghe e sottili, a forma di fulmine, che arrivavano fino ai lati della bocca. «Non vi piacciono?». Il Mister sgranò gli occhi e noi ridemmo, perché Petrone già non sorrideva più. «Gioiello» disse e Gioiello giocava a centrocampo, sull’interno destra. «Venti minuti di corsa e se non sono ancora tornato: stretching». Chiese a Gioiello perché lui era uno di quei cani che stanno dietro ai cancelli e abbaiano, con la bocca aperta, facendoti vedere tutti i denti e se metti un piede tra le sbarre quelli ti divorano la scarpa, il piede e forse pure tutto il resto della gamba. Il Mister s’incamminò verso gli spogliatoi e noi cominciammo a correre. Entrò e noi ci fermammo. Nemmeno

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comptait déjà trois journées et Petrone était en retard ; or, on était rassemblés dans le rond central, pour parler du match du dimanche précédent. On les avait tous gagnés, mais Mister n’était pas satisfait, car on avait pris un but idiot, voilà ce qu’il nous avait dit. « Si vous voulez vraiment gagner, vous ne devez pas vous asseoir, mais continuer à vous battre. » Voilà ce qu’il était en train de nous dire quand Petrone s’est amené. Mister l’a regardé et s’en est tout de suite aperçu : — Alors, petit pédé ! — Bonsoir, a répondu Petrone, avec un sourire. — Qu’est-ce que tu as foutu ? lui a-t-il demandé en portant les mains à ses joues. Et tout le monde a compris qu’il ne faisait pas allusion à son retard, mais à sa barbe, qui avait disparu au profit de deux pattes longues et fines, en forme d’éclairs, qui arrivaient jusqu’aux coins de la bouche. — Vous n’aimez pas ? Mister a écarquillé les yeux, et personne n’a rigolé, car Petrone déjà ne souriait plus. — Gioiello, a-t-il dit (Gioiello jouait milieu latéral droit), vingt minutes de course et, si je ne suis pas encore revenu, stretching. Il avait demandé ça à Gioiello, car il s’agissait d’un de ces chiens qui aboient derrière le portail, gueule ouverte, les crocs dehors, et si tu mets un pied entre les barres, ils te bouffent la godasse, le pied et peut-être bien toute la jambe. Mister s’est dirigé vers les vestiaires, et nous on a commencé à courir. Dès qu’il y est entré, on s’est arrêtés. Même

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Gioiello continuò. Ci sedemmo in panchina, alcuni per terra, e visto da lì il campo era immenso e faceva freddo, i riflettori erano accesi e sembrava la superficie della Luna. Dalla bocca ci uscivano delle nuvolette d’aria. Sulla Luna non c’era aria. Pensai che sentivo freddo, pensai che a stare fermi lo si sentisse ancora di più e mi strofinai le gambe con le mani. Passati dieci minuti qualcuno disse che il Mister poteva tornare da un momento all’altro e così ricominciammo a correre. Poi arrivò davvero. Uscì dagli spogliatoi a passo svelto, con le braccia immobili lungo i fianchi. Per terra la sua ombra era divisa in quattro e a ogni passo alzava una manciata di terreno. Ci fu più vicino e vidi che in una mano stringeva una bomboletta verde di schiuma da barba. Quando ci raggiunse, ci comandò di mantenere Petrone, e vidi anche il rasoio, bianco, uguale a quello che usava mio padre. Lo mantenemmo e il Mister gli cosparse il viso di schiuma. Petrone si muoveva e scalciava e qualcuno ne approfittò per dargli degli schiaffi dietro la testa. «Per te ho speso pure tremila lire» disse il Mister e arrivò il momento del rasoio: Petrone si placò del tutto e fu come se si spegnesse o come se gli si fossero esaurite le batterie. «Il signore è servito» fece il Mister, dopo, quando ebbe finito, prima di ordinarci di lasciarlo. Obbedimmo e Petrone si piegò sulle ginocchia, per pulirsi il viso con l’orlo della felpa. Gioiello gli diede un calcio in culo.

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Gioiello n’a pas continué. On s’est assis sur les bancs de touche, certains par terre et, vu de là, le terrain était immense et il faisait froid, avec les projecteurs allumés on aurait dit la surface de la Lune. De la bouche sortaient des petits nuages d’air. Sur la Lune, il n’y a pas d’air. Je me disais que j’avais froid, et que si je demeurais immobile je le sentirais encore plus, alors je me suis frotté les jambes des mains. Au bout de dix minutes, quelqu’un a dit que Mister pouvait rappliquer d’un moment à l’autre, alors on s’est remis à courir. Puis il a rappliqué pour de bon. Il est sorti des vestiaires d’un pas rapide, les bras immobiles le long du corps. Au sol, son ombre était divisée en quatre, et à chaque pas il soulevait une motte de terrain. Quand il a été plus près, j’ai vu qu’il serrait dans une main une petite bombe verte de mousse à raser. Quand il nous a rejoints, il nous a ordonné de maintenir Petrone, et j’ai aperçu aussi le rasoir, blanc, semblable à celui qu’utilisait mon père. On l’a maintenu, et Mister lui a barbouillé la figure de mousse. Petrone se débattait et lançait des coups de pied, certains en ont profité pour lui flanquer des taloches derrière la tête. — À cause de toi, j’ai dû dépenser trois mille lires, a dit Mister. Et le moment du rasoir est arrivé : Petrone s’est complètement calmé et ç’a été comme s’il s’éteignait ou comme si ses piles étaient mortes. — Monsieur est servi, a dit Mister, l’opération terminée,

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Fusco, seconda punta, si portò le mani sulla pancia e rise. «Vatti a sciacquare, vai» gli urlò e Petrone si avviò, zitto, verso gli spogliatoi. «E che vi sia da esempio» ci disse il Mi­ster mentre ricominciavamo a correre, ma non ci spiegò per cosa, cosa intendeva, cosa potevamo o non potevamo fare ed io mi sentii un po’ confuso. L’allenamento continuò, senza intoppi. Durante l’esercita­ zione dei tiri in porta, Imparato, mai titolare, svirgolò il pallone, che arrivò quasi sulla bandierina del calcio d’angolo. Il Mister gli disse che se calciava con la schiena piegata come quella di un salumiere mentre affetta il salame mai avrebbe preso la porta e il padre di Imparato faceva il salumiere. Nella partitella finale lanciai la palla a Fusco e lui segnò. Mi diede il cinque e il Mister disse che queste erano le cose che voleva vedere più spesso e non le stronzate. «Bravo» aggiunse ed io pure pensai che avevo fatto un buon lancio, ma anche che Fusco era molto forte e quindi non era tutta farina del mio sacco. L’allenamento finì e ci andammo a fare la doccia e negli spogliatoi fu impossibile parlare con qualcuno, perché tutti urlavano per conto proprio. Mi lavai e mi rivestii velocemente. Presi la borsa, infilai il giubbino e uscii: le strade erano buie e i lampioni gialli. I palazzi, di mattoni, mi sembrarono neri. Camminai per un po’ e mi sentii chiamare dall’alto. Era una vecchia che da una finestra del secondo piano cercava di attirare la mia

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avant d’ordonner qu’on le relâche. Nous avons obéi et Petrone a fléchi les genoux pour se nettoyer la figure avec le bas de son maillot. Gioiello lui a alors décoché un coup de pied au cul. Fusco, le second attaquant, a éclaté de rire en se tenant les côtes. — Allez, va te rincer, lui a-t-il crié. Petrone s’est alors dirigé, taciturne, vers les vestiaires. — Et que ça vous serve d’exemple, nous a dit Mister, tandis que nous recommencions à courir. Mais il ne nous a pas précisé pour quoi, ce qu’il voulait dire, ce que nous pouvions ou ne pouvions pas faire, et j’en suis resté assez perplexe. L’entraînement s’est poursuivi, sans embûches. Durant l’exercice de tirs au but, Imparato, jamais titulaire, a dévié le ballon, qui a atterri quasiment sur le drapeau du corner. Master lui a dit que, s’il shootait le dos plié comme celui d’un charcutier en train de découper du saucisson, il ne cadrerait jamais les cages. Or, le père d’Imparato était justement charcutier. Dans le mini-match final, j’ai passé le ballon à Fusco, qui a marqué. Il m’en a tapé cinq et Mister a dit que c’était ce genre de trucs qu’il voulait voir plus souvent, et pas ces conneries. « Bravo », a-t-il ajouté, et moi aussi j’ai pensé que j’avais fait une bonne passe, mais aussi que Fusco était très fort, et donc que tout le mérite ne me revenait pas qu’à moi. L’entraînement a pris fin et on est allés à la douche et, dans les vestiaires, impossible de discuter

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attenzione. «Aspetta lì» mi disse ed io non mi mossi. Riapparve e calò il panaro. La corda era tesa e chiusa attorno al bordo c’era una molletta che fermava cinquemila lire. Mi chiese di comprarle un pacchetto di MS ma ero quasi sul viale e pensai che avrei dovuto camminare almeno cinquecento metri per arrivare alla tabaccheria e tornare indietro, darle le sigarette e rifare la stessa strada per andare a casa. E il tutto col borsone in spalla. «Sono stanco» le risposi. Tirò su il panaro e si sporse un po’ di più. «Quella zoccola di tua madre» mi disse. Riprendendo a camminare mi chiesi se quella era una fra­se che avrebbe detto a chiunque o se l’avesse detta perché mi aveva riconosciuto. Mia mamma, per alcuni, era una poco di buono; lo sapevo. E loro lo pensavano ed io facevo finta di non pensarlo. Fingevo di non sentire, di non accorgermene o di non capire. Ma mia mamma, per me, era uno schiaffo in faccia, una ferita aperta. O un fischio nell’orecchio, che saliva e scendeva e disturbava e copriva tutto e quando passai davanti alla tabaccheria l’insegna era spenta e la saracinesca abbassata. Entrai in casa, misi la divisa sporca e le mutande nella lavatrice e girai la manopola. Cominciò il lavaggio, mio padre cucinava. Ci sedemmo a tavola e lui, ogni sera, tornando da lavoro, si fermava e comprava il pane sfornato nel pomeriggio. Mi chiese com’era andato l’allenamento e gli raccontai di Petrone e che il Mister ci aveva detto

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avec quelqu’un, tous criaient pour leur propre compte. Je me suis lavé et rhabillé vite fait. J’ai pris mon sac, j’ai enfilé mon blouson et je suis sorti : les rues étaient sombres et les lampadaires jaunes. Les immeubles, en briques, paraissaient noirs. J’ai marché un moment, avant de m’entendre hélé d’en haut. Une vieille, depuis une fenêtre du deuxième étage, voulait attirer mon attention. — Attends ici, m’a-t-elle dit. Je n’ai pas osé bouger. Elle est réapparue et a descendu son panier à l’aide d’une cordelette. Fixée sur le rebord, une épingle retenait un billet de cinq mille lires. Elle m’a prié de lui acheter un paquet de MS, mais j’étais presque arrivé à l’avenue et il me faudrait marcher au moins cinq cents mètres pour rejoindre le bureau de tabac, revenir sur mes pas, lui filer ses cigarettes et me retaper le même chemin pour rentrer chez moi. Et le tout avec mon gros sac sur l’épaule. — Je suis crevé, ai-je répondu. Elle a remonté son panier, et s’est penchée un peu plus. — Putain de ta mère, m’a-t-elle lancé. En reprenant mon chemin, je me suis demandé si c’était là une phrase qu’elle aurait dite à n’importe qui, ou si elle avait dit ça parce qu’elle m’avait reconnu. Ma maman, aux yeux de certains, était une traînée, je le savais. Eux, ils le pensaient, et moi, je faisais semblant de ne pas le penser. Je feignais de ne pas entendre, de ne pas m’en rendre compte ou de ne pas comprendre. Mais ma maman, pour moi, était

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ch’era un esempio e dovevamo ricordarcelo. Gli dissi che non avevo capito d’esempio per cosa. Mi rispose che aveva fatto bene e si chiamava buonsenso. «Mettiamo che nella tua classe sono tutti poveri e i geni­ tori non lavorano e i tuoi compagni vanno a scuola con le scarpe rotte, con i buchi che sotto si vedono i calzini e tu, invece, sei ricco e ti compri un paio di scarpe da centomila lire. Secondo te è giusto andare a scuola con quelle scarpe?». Non capii se mi stesse dicendo che rispetto a Petrone ero un povero e quindi non risposi nulla. «No, non è giusto» disse. «Non va bene fare il forte con i deboli e il debole con i forti». Cominciai a domandarmi se, oltre che povero, mi reputasse pure un debole. Rimasi zitto. Presi i piatti e li misi nel lavello. Mio padre aprì il balcone della cucina e, fermo sulla soglia, s’accese una sigaretta. Il pacchetto era sul tavolo. Io lavavo i piatti ed ero concentrato su quello che facevo. Era un modo per non parlargli, ma lo percepivo che mi stava guardando e i suoi occhi mi pesavano sulla schiena. «Che c’è?» mi chiese. «Niente» gli risposi. Lo sentii aspirare. «Volevo spiegarti che il rispetto è la sola cosa che conta». «Ok». «Non tanto quello che ricevi, ma quello che dai. Quello è importante».

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une claque dans la gueule, une blessure ouverte. Ou un sifflement dans l’oreille, qui montait, descendait, troublait et couvrait tout. Quand je suis passé devant le bureau de tabac, l’enseigne était éteinte et le rideau baissé. Je suis rentré chez moi, j’ai fourré mon maillot sale et mon caleçon dans la machine et j’ai tourné le bouton. Le lavage a démarré. Mon père cuisinait. On s’est assis à table. Lui, chaque soir, en rentrant du boulot, il s’arrêtait pour acheter le pain cuit dans l’après-midi. Il m’a demandé comment s’était passé l’entraînement, et je lui ai raconté pour Petrone, et que Mister nous avait dit que ça devait nous servir d’exemple, qu’on devrait s’en rappeler. Je lui ai avoué que je n’avais pas compris : l’exemple pour quoi ? Il m’a répondu qu’il avait bien fait et que ça s’appelait du bon sens. — Imagine que, dans ta classe, tout le monde soit pauvre et que les parents ne travaillent pas, et que tes copains aillent à l’école avec des chaussures abîmées, avec des trous qui laissent voir leurs chaussettes, alors que, toi, tu es riche, et que tu te paies une paire de chaussures à cent mille lires. D’après toi, il est juste d’aller à l’école avec des chaussures pareilles ? Je n’ai pas compris s’il voulait me dire que, par rapport à Petrone, j’étais un pauvre, et donc je n’ai rien répondu. — Non, ce n’est pas juste, a-t-il dit. Ce n’est pas bien de jouer les forts avec les faibles, et les faibles avec les forts. J’ai commencé à me demander si, en plus de pauvre, il me prenait pour un faible. Je suis resté silencieux. J’ai ra-

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«Va bene, papà» dissi e lui lasciò la sigaretta e mentre cominciavo a sgrassare la padella mi appoggiò una mano sulla testa, tra i capelli, e la scese fino al collo. Mi accarezzò e non so il perché, ma mi sentii molto triste e molto felice e quasi mi misi a piangere. Continuai a sgrassare e lui smise e lo sentii chiudersi nel bagno. Mi asciugai le mani sui jeans e mi avvicinai al tavolo. Mio padre fumava le Philip Morris. Ne sfilai tre e le misi in tasca. Tornai al lavello e ricominciai a lavare. «Hai molti compiti?» mi chiese, quando ritornò. «Non molti» risposi. In camera mia sedetti alla scrivania. Aprii un numero di questo giornaletto che leggevo e che parlava di extraterrestri, fantasmi e fenomeni paranormali vari e lo misi tra le pagine del libro di storia, nel caso avesse aperto la porta. Rilessi il numero che conteneva l’articolo sulla combustione spontanea e praticamente dicevano che un corpo, all’improvviso, senza alcun motivo, poteva prendere fuoco. Dicevano che poteva accadere a causa del metano che alcune persone hanno nell’intestino, ma non n’erano sicuri. Ne avevo parlato pure con Lunno e lui aveva detto che non era possibile, ch’erano tutte scemenze, che lui non aveva mai visto nessuno bruciare così. Guardai bene la foto di questo corpo di cui era rimasta solo una gamba e tutto il resto era una macchia nera, di tizzoni e cenere. La guardai avvicinando la testa il più

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massé les assiettes et les ai mises dans l’évier. Mon père a ouvert la porte-balcon de la cuisine et, debout sur le seuil, il a allumé une cigarette. Le paquet était sur la table. Moi, je lavais les assiettes et étais concentré sur l’opération. C’était un moyen de ne pas lui parler, mais je sentais bien qu’il m’observait et son regard pesait sur mes épaules. — Qu’est-ce qu’il y a ? m’a-t-il demandé. — Rien. Je l’ai entendu aspirer. — Je voulais t’expliquer que le respect est la seule chose qui compte. — Ok. — Moins celui que tu reçois, que celui que tu donnes. Celui-là est important. — D’accord, papa. Il a laissé sa cigarette et, tandis que je commençais à dégraisser la poêle, il a posé la main sur ma tête, dans mes cheveux, en descendant jusqu’au cou. Il m’a caressé, et, je ne sais pas pourquoi, je me suis senti très triste et très heureux, au bord des larmes. J’ai continué à dégraisser, et lui, il a arrêté. Il est allé s’enfermer dans la salle de bains. Je me suis essuyé les mains sur mon jean et me suis approché de la table. Mon père fumait des Philip Morris. J’en ai chipé trois et les ai fourrées dans ma poche. J’ai regagné l’évier et ai recommencé à laver. — Tu as beaucoup de devoirs ? — Pas trop.

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possibile alla pagina e non fui convinto del fatto che fosse vera, perché si potevano fare tante cose con una foto e non era molto chiara. Passai all’articolo sul finto allunaggio. Sosteneva che l’uomo non fosse mai arrivato sulla Luna o che comunque non ci fosse arrivato in quella occasione, quella famosa. C’era una foto del casco dell’astronauta e avevano cerchiato in rosso dei riflessi ch’erano dei bagliori strani. Di­ cevano fossero luci, luci di uno studio fotografico e che non potevano esserci sulla Luna. Ipotizzavano che il regista della trasmissione televisiva potesse esser stato Stanley Kubrick e fu lì che lo sentii nominare per la prima volta. Mi piacevano le tute degli astronauti e mi piaceva la toppa della bandiera americana che avevano sulla spalla. Poi pensai a come dovesse essere triste l’astronauta che per primo e per davvero era arrivato sulla Luna ma che non poteva dirlo a nessuno e nessuno lo sapeva e nessuno pensava mai a lui quando guardava il cielo, di notte.

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Une fois dans ma chambre, je me suis assis à mon bureau. J’ai ouvert un numéro de ce petit magazine que je lisais et qui parlait d’extraterrestres, de fantômes et de divers phénomènes paranormaux, et je l’ai glissé entre les pages de mon manuel d’histoire, au cas où il ouvrirait la porte. J’ai relu le numéro qui contenait l’article sur la combustion spontanée. On y disait, en substance, qu’un corps, brusquement, sans aucune raison, pouvait prendre feu. Ça pouvait arriver à cause du méthane que certaines personnes ont dans les intestins, mais ce n’était pas sûr. J’en avais discuté aussi avec Lunno, et il m’avait dit que c’était impossible, que c’était des âneries, qu’il n’avait jamais vu personne brûler comme ça. J’ai bien regardé la photo de ce corps dont ne subsistait plus qu’une jambe, alors que tout le reste formait une tache noire, de résidus et de cendres. Je l’ai regardée en approchant le plus possible la tête de la page, et je n’ai pas été convaincu du fait que cela puisse être vrai, car on pouvait faire tout dire à une photo, et en plus elle n’était pas très nette. Je suis passé à l’article sur le faux alunissage. On y soutenait que l’homme n’avait jamais débarqué sur la Lune, en tout cas pas cette fois-là, la plus fameuse. Sur la photo du casque de l’astronaute, on avait entouré de rouge des reflets qui formaient des lueurs bizarres. On y disait qu’il s’agissait de lampes, celles d’un studio photo, et qu’ils ne pouvaient pas se trouver sur la Lune. On prétendait que le réalisateur de la transmission télévisée pouvait être

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Alessio Forgione, Giovanissimi ..................................................................................................................

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Stanley Kubrick, et c’est là que j’ai entendu son nom pour la première fois. J’adorais les combinaisons des astronautes, avec l’écusson du drapeau américain sur l’épaule. Ensuite, j’ai pensé à la tristesse de l’astronaute qui, le premier, avait réellement débarqué sur la Lune, mais qui ne pouvait en parler à personne, et personne ne le savait, et personne ne pensait jamais à lui en contemplant le ciel, la nuit.

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GIUSEPPE LUPO Breve storia del mio silenzio MARSILIO

La Milano che io vidi per la seconda volta era trafitta

dai primi spifferi di gelo, niente più che una sensazione con cui si annunciava l’inverno, anche se il sole conosceva la dolcezza dell’autunno e gli alberi erano carichi di foglie prossime al giallo. Mio padre non rispondeva ai rimproveri di mia madre – siamo stati lenti, ci siamo mossi tardi –, ma le informazioni che avevamo raccolto ci condussero dritti in un pensionato dalle parti del Naviglio Grande, a ridosso dell’Alzaia, in quella zona di confine dove la città riacquistava una memoria d’acqua: ponti di ferro battuto, parapetti arrugginiti, strade lastricate, binari dei tram lucidi di mattino e un’aria diffidente che metteva tristezza. Il pensionato con cui mio padre si era messo in contatto era un enorme edificio intitolato a san Giuseppe Calasanzio, il santo spagnolo fondatore degli scolopi. Io non lo conoscevo e non lo conosceva nemmeno mia madre, che storpiò il cognome letto all’ingresso: «Colasanzio ti prenderà, Colasanzio ascolterà le nostre preghiere.»

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Traduction de Patrick Vighetti

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Le Milan que j’ai vu la deuxième fois était traversé par les

premiers vents coulis glacés, rien de plus qu’une sensation qui annonçait l’hiver, même si le soleil connaissait encore la douceur de l’automne et que les arbres étaient couverts de feuilles promises au jaunissement. Mon père ne répondait pas aux reproches de ma mère — on a été trop lents, on a réagi tard —, mais les renseignements que nous avions recueillis nous ont conduits tout droit à un pensionnat du côté du Naviglio Grande, donnant sur l’Alzaia, dans cette zone de confins où la ville retrouvait une mémoire d’eau : des ponts en fer forgé, des parapets rouillés, des rues pavées, des rails de tram tout brillants du matin et un air de défiance qui inspirait quelque tristesse. Le pensionnat avec lequel mon père avait pris contact était un énorme édifice dédié à San Giuseppe Calasanzio, le saint espagnol fondateur des écoles des frères. Moi, je ne le connaissais pas, ma mère non plus, qui a estropié le nom lu sur l’entrée: « Colasanzio te prendra, Colasanzio écoutera nos prières. »

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Giuseppe Lupo, Breve storia del mio silenzio ..................................................................................................................

Ci fecero accomodare in uno stanzone di mobili consumati e dissero di aspettare. L’umido saliva in cima alle pareti, si attaccava al legno delle finestre e mia madre non sapeva come riempire le ore del mattino se non indirizzando lo sguardo verso gli spigoli, l’arredo, i pavimenti. Non erano di suo gradimento, ma ripeteva ugualmente: «Colasanzio ce la deve fare questa grazia.» «Calasanzio» correggeva mio padre, «non Colasanzio.» «È uguale» diceva lei. Poi non aggiunse più nulla perché ci chiamarono a colloquio per mostrarci il refettorio, le scale, la sala studio. Finì per commuoversi quando incontrammo uno studente in una delle camere e riconobbe la mia fisionomia nella sagoma infreddolita di quel ragazzo, vide me nei panni umidi di Naviglio e provò pena per quel che sarei potuto essere io, in un’ora di solitudine, se mi fossi trovato a vivere lì. Se ne uscì con le lacrime agli occhi, discese per le scale e solo quando ci trovammo lontani dall’Alzaia disse: «Chissà se Colasanzio ci farà la grazia.» Eravamo indecisi sulla direzione da prendere e cercavamo risposte allontanandoci quanto prima dall’odore di acqua stagnante. San Giuseppe Calasanzio, il santo invocato quel mattino d’autunno, non ascoltò le preghiere di mia madre e io non trascorsi gli anni universitari nelle stanze del pensionato che portava il suo nome. Una città crepuscolare avrei potuto conoscere se avessi abitato da quelle parti. Il vento dell’autunno invece mi spinse nella

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On nous a fait asseoir dans une grande pièce aux meubles usés et on nous a dit d’attendre. L’humidité escaladait les murs, s’attaquait au bois des fenêtres et ma mère ne savait pas comment occuper les heures de la matinée, si ce n'est en dirigeant son regard vers les angles, le mobilier, le carrelage. Ils ne lui convenaient pas, mais elle répétait quand même : — Colasanzio doit nous faire cette faveur. » — Calasanzio, corrigeait mon père, pas Colasanzio. — C’est pareil, disait-elle. Puis elle n’a plus rien ajouté, car on nous a appelés pour l’entretien afin de nous montrer le réfectoire, les escaliers, la salle d’études. Elle a fini par s’émouvoir quand nous avons rencontré un étudiant dans une des chambres et qu’elle a reconnu ma physionomie dans la silhouette frigorifiée de ce garçon ; elle m’a vu dans les vêtements humides du quartier du Naviglio et a éprouvé de la peine en imaginant ce que je pourrais être moi-même, dans un moment de solitude, s’il m’avait fallu vivre ici. Elle en est ressortie les larmes aux yeux, elle a redescendu les escaliers et ce n’est qu’une fois éloignés de l’Alzaia qu’elle a dit : — Savoir si Colasanzio nous fera cette grâce. » Nous étions indécis sur la direction à prendre et nous cherchions des réponses en quittant au plus vite cette odeur d’eau stagnante. San Giuseppe Calasanzio, le saint invoqué ce matin-là d’automne, n’a pas entendu les prières de ma mère et je n’ai pas passé mes années d’université

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zona opposta, in quella Lambrate dove i santi non avevano acqua di Navigli su cui camminare. Milano mi avrebbe riservato un altro destino indirizzandomi nel quartiere di Città Studi. E fra le vetrate del Politecnico, sotto un cielo di assiomi e di teoremi, io avrei avvertito quel che significa la solitudine di chi è di fronte al Dio sconosciuto e non sa il nome con cui chiamarlo. Mancava una manciata di giorni alla definitiva partenza, forse una settimana, forse due, e mia madre stirava e metteva da parte camicie, calzini, maglioni, sciarpe, guanti, fazzoletti. Però non si decideva a chiudere la valigia, quasi volesse che l’aria di casa si appiccicasse ai panni e rimanesse prigioniera dei tessuti fino al mio ritorno per Natale. «Basteranno quattro camicie?» chiedeva a mio padre. Quattro camicie erano per lei un’unità di misura, una specie di regolazione del tempo. «Ricordiamoci i fazzoletti, ricordiamoci i calzini, ricordiamoci i fogli.» Io fingevo di non ascoltare per non interrompere quel dialogo tra loro due, che era fatto di indumenti e che per un motivo inspiegabile mi ricordava le parole pronunciate da mia madre durante il trasferimento nella casa nuova: «Non dimentichiamoci niente, non dimentichiamoci niente.» Secondo lei, il mio andare a Milano assomigliava a un trasloco e io tornai a sentirmi in pericolo, come il bimbo di cui raccontava Canetti. La sua lingua si era salvata

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dans les salles du pensionnat qui portait son nom. J’aurais pu connaître une ville crépusculaire, si j’avais habité dans ce secteur. Mais le vent d’automne m’a poussé dans la direction opposée, à Lambrate, où les saints n’avaient pas l’eau des Navigli où marcher. Milan me réserverait un autre destin en m’orientant vers le quartier de Città Studi. Et c’est derrière les vitres du Politecnico, sous un ciel d’axiomes et de théorèmes, que j’éprouverais ce que signifie la solitude de qui est face au Dieu inconnu et qui ne sait pas de quel nom l’invoquer. Il ne restait plus que quelques jours avant mon départ définitif, une semaine, peut-être deux, et ma mère repassait et empilait chemises, chaussettes, pulls, écharpes, gants, mouchoirs. Cependant, elle ne se décidait pas à fermer la valise, comme si elle voulait que l’air de la maison imprègne les vêtements et reste emprisonné dans les tissus jusqu’à mon retour pour Noël. — Quatre chemises, ça suffira ? demandait-elle à mon père. Quatre chemises, c’était pour elle une unité de mesure, une sorte de régulation du temps. — N’oublions pas les mouchoirs, n’oublions pas les chaussettes, n’oublions pas les papiers. Je faisais mine de ne pas écouter pour ne pas interrompre ce dialogue entre eux deux, centré sur les vêtements, et qui, pour une raison inexplicable, me rappelait les mots prononcés par ma mère lors du déménagement dans le nouvel ap-

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Giuseppe Lupo, Breve storia del mio silenzio ..................................................................................................................

dalle forbici con cui aveva rischiato di essere tagliata, le sue parole non si erano perdute: questo a me importava. E questo mi restituiva la speranza che anch’io, come lui, avrei avuto una mia lingua da salvare, magari a costo di fuggire dal luogo dov’ero nato e di non tornarci più. Le camicie, i calzini, i maglioni che mia madre accatastava di fianco alla valigia non ancora chiusa finirono per contagiare anche me, che passavo in ricognizione la casa nuova con lo sguardo inclemente di un altro addio. Guardavo le bambole di mia sorella, sedute una di fianco all’altra sul mobile della sua stanzetta. Guardavo lo studio di mio padre, che non era più il bugigattolo, ma un ambiente così largo da contenere perfino il mio vecchio divano-letto. Mi preparavo a percorrere la dorsale adriatica come se il viaggio di una notte potesse somigliare al navigare di un profugo, con la casa perduta e la promessa di una nuova terra, eppure una strana euforia mi accompagnava nelle ore pomeridiane, quelle dell’attesa. Poi arrivò il momento di salire sul treno e nella concitazione dell’addio mio padre ebbe il tempo di dirmi: «Se il Novecento a cui apparteniamo avrà il futuro di essere ricordato, se tua madre e io avremo il futuro di essere ricordati, dipende da te.» Si erano chiuse le porte e non riuscii a sentire più nulla. Fu un attimo, ma nelle parole che mio padre stava pronunciando, nel sorridere silenzioso a me che andavo via

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partement : « N’oublions rien, n’oublions rien. » À ses yeux, mon départ pour Milan ressemblait à un déménagement, et je recommençais à me sentir en danger, comme l’enfant que décrit Canetti. Sa langue avait échappé aux ciseaux qui avaient failli la couper, ses mots n’avaient pas été perdus : voilà ce qui m’importait. Et cela me redonnait l’espoir que, moi aussi, comme lui, j’aurais ma propre langue à sauver, sans doute au prix de l’obligation de fuir l’endroit où j’étais né et de ne plus y retourner. Les chemises, les chaussettes, les pulls que ma mère entassait à côté de la valise pas encore bouclée ont fini par me contaminer à mon tour, qui passais en revue l’appartement neuf avec le regard impitoyable d’un nouvel adieu. Je regardais les poupées de ma sœur, assises côte à côte sur le meuble de sa petite chambre. Je regardais le bureau de mon père, qui n’était plus un réduit, mais une pièce tellement vaste qu’elle pouvait contenir même mon vieux canapé-lit. Je me préparais à parcourir la dorsale adriatique comme si le voyage d’une nuit pouvait ressembler à la traversée d’un réfugié, avec la maison perdue et la promesse d’une terre nouvelle ; cependant, une étrange euphorie m’accompagnait durant les heures de l’après-midi, celles de l’attente. Puis le moment est venu de monter dans le train et, dans l’excitation des adieux, mon père a eu le temps de me dire : — Pour qu’on se souvienne du XXe siècle auquel nous ap-

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Giuseppe Lupo, Breve storia del mio silenzio ..................................................................................................................

– e altro non era, quel gesto, se non amore dignitoso nel distacco –, proprio in quell’attimo era come se si spegnesse il secolo a cui appartenevamo tutti, io, la mia famiglia, l’Appennino dov’ero nato. Il giorno dopo, a Milano, il Novecento non esisteva più e io già ne sentivo la mancanza.

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partenons, pour qu’on se souvienne de ta mère et de moi, ça dépend de toi. Les portières s’étaient refermées et je n’ai plus rien pu entendre. Ç’a été un court instant, mais, dans les mots que mon père prononçait, dans ce sourire silencieux à mon intention, moi qui partais — et ce geste ne représentait rien d’autre qu’un amour digne dans la séparation —, dans cet instant précisément, c’était comme si s’éteignait le siècle auquel nous appartenions tous, moi, ma famille, l’Apennin où j’étais né. Le lendemain, à Milan, le XXe siècle n’existerait plus, et j’en éprouvais déjà le manque.

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DANIELE MENCARELLI Tutto chiede salvezza MONDADORI

F

« irmi qui per le dimissioni.» Eseguo. «Mi saluti Mancino, lo ringrazi da parte mia.» Cimaroli non risponde, mi richiude nella cartella clinica a mio nome, per lui sono tutto in quei fogli. Il primario allunga la mano, gliela stringo. «Stia bene.» Butto le mie cose nel borsone, alla rinfusa, nel cuore non c’è più rabbia, ma rassegnazione, un’amarezza straripante. Dall’armadietto tiro fuori i jeans, la maglietta, ovunque macchie di sangue rappreso. Il mio sangue. I segni della sera folle che mi ha portato qui. Nel bagno ci sono ancora gli effetti personali di Mario, lo spazzolino di Giorgio. Prendo quel che mi riguarda, il sapone e la lametta, gli asciugamani, e butto tutto nel cestino dell’immondizia. Resto a fissarmi allo specchio, mi ordino la gioia, tra poco sarò fuori di qui, fuori da questo incubo inutile. Ma non ci riesco.

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Traduction de Patrick Vighetti

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S

— ignez ici, pour votre sortie. Je m’exécute. — Saluez Mancino, remerciez-le de ma part. Cimaroli ne répond pas, il me range dans le dossier médical à mon nom ; pour lui, je suis tout entier contenu dans ces feuillets. Le médecin-chef me tend la main, je la lui serre. — Portez-vous bien. Je fourre mes affaires dans mon grand sac, pêle-mêle, mon cœur ne nourrit plus de colère, mais de la résignation, une amertume débordante. Je sors de la penderie mon jean, mon t-shirt, avec partout des taches de sang séché. Le mien. Les signes de la folle soirée qui m’a conduit ici. Dans la salle de bains se trouvent encore les effets personnels de Mario, la brosse à dents de Giorgio. Je prends ce qui m’appartient, le savon et le rasoir, les serviettes, et balance le tout dans la poubelle. Je reste là, à me fixer

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Daniele Mencarelli, Tutto chiede salvezza ..................................................................................................................

Do un’ultima occhiata al mio comodino, mi piego sotto il letto per vedere anche lì. Qui dentro di mio non c’è più niente. La finestra di Mario è rimasta aperta, come sempre. Mi ritrovo affacciato, ad appoggiare i gomiti dove ieri c’erano i suoi. Sul davanzale ancora i pezzetti di biscotto che aveva messo per il suo amico, quelli che io stesso gli avevo dato. Il nido dell’uccellino, ora, è vuoto. Bastava talmente poco. Bastava ascoltare, guardare negli occhi, concedere. Una volta, una sola volta. Invece non lo hanno fatto. Perché per loro non eravamo degni di essere ascoltati. Perché i matti, i malati, vanno curati, mentre le parole, il dialogo, è merce riservata ai sani. Questo abbrutimento è la scienza? Non aprirsi mai alla pietà, svuotare l’uomo sino a farlo diventare un ingranaggio di carne. Sentirsi padroni di tutte le risposte. È questa la normalità? La salute mentale? La vera pazzia è non cedere mai. Non inginocchiarsi mai. Una settimana fa volevo ammazzare la vita per la sua totale illogicità, per la certezza che nulla è prevedibile, che mi tocca in dote la maledizione di vivere senza mai farci l’abitudine, a niente, al bene come al male. Vivrò da infelice, prima o poi il dolore avrà la meglio,

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dans la glace, je m’ordonne la joie, sous peu je serai dehors, délivré de ce cauchemar inutile. Mais je n’y parviens pas. Je donne un dernier coup d’œil à ma table de nuit, je me penche sous le lit pour vérifier là aussi. Il ne reste plus rien à moi là-dedans. La fenêtre de Mario est restée ouverte, comme toujours. Je m’y retrouve bientôt, accoudé là où il l’était hier. Sur le rebord, on voit encore les petits morceaux de biscuit qu’il avait mis là pour son ami, ceux que je lui avais moimême donnés. Le nid de l’oisillon, à présent, est vide. Il suffisait de tellement peu. Il suffisait d’écouter, de regarder dans les yeux, de concéder. Une fois, juste une fois. Sauf qu’ils ne l’ont pas fait. Car, pour eux, nous n’étions pas dignes d’être écoutés. Les fous, les malades, doivent être soignés, tandis que les paroles, le dialogue, c’est un commerce réservé aux personnes saines. Pareil abrutissement, c’est de la science ? Ne jamais s’ouvrir à la pitié, vider l’homme jusqu’à le transformer en rouage de chair. Se sentir maître de toutes les réponses. C’est ça, la normalité ? Ça, la santé mentale ? La vraie folie, c’est de ne jamais céder. Ne jamais s’agenouiller. Il y a une semaine, je voulais tuer la vie à cause de son

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ma non siete voi quello che voglio diventare. Dal nulla, con i suoi occhi neri scintillanti, il passero, nella sua casa di rami e foglie. Lo saluto anche da parte di Mario. Mi fermo accanto ad Alessandro, non sono bravo con le preghiere, ma non pecco di fantasia. Che questo bozzolo di silenzio prima o poi s’infranga, che tu possa tornare su questa terra. Libero. Accanto al suo letto c’è Madonnina, immobile, preso a osservare nel nulla qualcosa di visibile soltanto a lui. Gli vado vicino, gli sfioro una mano. «Ciao Madonni’.» Afferro il borsone, un ultimo sguardo alla stanza. Mi affaccio in medicheria, provo a rintracciare un infermiere, qualcuno a cui affidare i saluti per Pino, Rossana e Lorenzo, ma non trovo nessuno. «Maria ho perso l’anima! Aiutami Madonnina mia!» Ritrovo Madonnina lungo il corridoio. Mai ne avrò certezza, ma qualcosa nei suoi occhi, forse solo accesi di mio desiderio, ma lì nel buio di sempre, come un balenio di luce, verso di me. «Maria ho perso l’anima! Aiutami Madonnina mia!» Abbracciare tutto. La puzza d’urina mischiata al sudore, le ossa consunte, la barba appuntita. Abbraccio tutto di Madonnina, sino alla gloria nasco-

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manque total de logique, à cause de la certitude que rien n’est prévisible, que j’ai été frappé par la malédiction de vivre sans jamais pouvoir m’y habituer, à rien, au bien comme au mal. Je vivrai malheureux, tôt ou tard la douleur aura le dessus, mais je ne veux surtout pas devenir comme vous. Venu du néant, avec ses yeux noirs étincelants, le moineau, dans sa maison de brindilles et de feuilles. Je le salue aussi de la part de Mario. Je m’arrête auprès d’Alessandro, je ne suis pas doué pour les prières, mais je ne pèche pas par l’imagination. Puisse ce cocon de silence tôt ou tard se briser, puissestu revenir sur cette terre. Libre. À côté de son lit se trouve Madonnina, immobile, occupé à contempler dans le vide ce qu’il est le seul à voir. Je m’en approche, lui effleure la main. — Salut, Madonni’. Je prends mon grand sac, un dernier regard à la chambre. Je me présente à la chirurgie, essaie de trouver un infirmier, quelqu’un à qui demander de saluer pour moi Pino, Rossana et Lorenzo, mais ne rencontre personne. — Marie, j’ai perdu mon âme ! Aide-moi, ma petite Madone ! Je retrouve Madonnina dans le couloir. Je n’en aurai jamais la certitude, mais quelque chose dans ses yeux, peut-être allumés seulement de mon désir,

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Daniele Mencarelli, Tutto chiede salvezza ..................................................................................................................

sta, la gioia promessa. Sino al pianto, che mi fa uomo. Non ho detto a nessuno di venirmi a prendere. Voglio camminare, respirare, starmene all’aria per conto mio. Le gambe faticano, disabituate al loro mestiere. L’enormità di tutto, dallo spazio ai colori, stordisce e innamora, la bellezza conquista gli occhi. Mi fermo per riprendere fiato, per guardarmi giusto un secondo indietro. Dall’alto, dalla punta estrema dell’universo, passando per il cranio, e giù, fino ai talloni, alla velocità della luce, e oltre, attraverso ogni atomo di materia. Tutto mi chiede salvezza. Per i vivi e i morti, salvezza. Salvezza per Mario, Gianluca, Giorgio, Alessandro e Madonnina. Per i pazzi, di tutti i tempi, ingoiati dai manicomi della storia.

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mais là dans l’obscurité de toujours, comme un éclair de lumière, vers moi. — Marie, j’ai perdu mon âme ! Aide-moi, ma petite Madone ! Tout embrasser. La puanteur d’urine mêlée à la sueur, les os usés, la barbe pointue. J’embrasse tout de Madonnina, jusqu’à la gloire cachée, la joie promise. Jusqu’aux larmes, qui me rendent homme. Je n’ai demandé à personne de venir me chercher. Je veux marcher, respirer, rester à l’air libre pour mon propre compte. Mes jambes se fatiguent, déshabituées de leur métier. L’énormité de tout, de l’espace jusqu’aux couleurs, m’étourdit et me charme, la beauté conquiert mes yeux. Je m’arrête pour reprendre mon souffle, pour regarder juste une seconde en arrière. De là-haut, du fin fond de l’univers, entrant par le crâne et descendant jusqu’aux talons, à la vitesse de la lumière, et au delà, à travers chaque atome de matière. Tout me demande le salut. Pour les vivants et les morts, le salut. Le salut pour Mario, Gianluca, Giorgio, Alessandro et Madonnina. Pour les fous, de tous les temps, engloutis par les asiles de l’histoire.

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VALERIA PARRELLA Almarina EINAUDI

Mi chiamo Elisabetta Maiorano, e non è che me lo

stia chiedendo qualcuno: sono io che me lo ripeto in testa ogni volta che arrivo al varco di Nisida (come mi ripeto in testa il codice del bancomat mentre sto ancora camminando verso lo sportello). Ogni volta che entro mi sento in colpa. Alla sbarra, quando mi fermo per farmi riconoscere, mi viene da abbassare gli occhi, mostro il viso senza davvero guardare in faccia l’agente, come se avessi la macchina carica di cocaina. E la vedo alzarsi con uno sforzo enorme, quella sbarra, come se la dovessi sollevare io, fosse colpa mia che Nisida è un carcere minorile, le avessi scavate con le mie mani le strade di tufo che fanno arrampicare su la macchina. Come se mi stessero facendo un favore. Appena arrivo davanti a quella sbarra perdo ogni diritto civile, ogni sostanza acquisita nel tempo, non sono piú nessuno, né una laureata, né un’insegnante che ha vinto concorsi, che ha fatto anni di supplenze al nord e sa ri-

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Traduction de Jérôme Nicolas

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Je m’appelle Elisabetta Maiorano, mais en réalité personne

ne me le demande : c’est moi qui me le répète dans ma tête chaque fois que j’arrive devant l’entrée de Nisida (tout comme je me répète dans ma tête le code de ma carte bleue alors que je ne suis même pas encore arrivée devant le distributeur automatique). Chaque fois que j’entre, je me sens coupable. À la barrière, quand je m’arrête pour me faire reconnaître, je baisse les yeux, je montre mon visage sans vraiment regarder l’agent en face, comme si ma voiture était remplie de cocaïne. Et je la vois se lever avec un effort énorme, cette barrière, comme si c’était moi qui devais la soulever, comme si c’était ma faute si Nisida est une prison pour mineurs, comme si je les avais creusées avec mes mains les routes de tuf qui font grimper la voiture tout en haut. Comme si on m’accordait une faveur. Dès que j’arrive devant cette barrière, je perds tous mes droits civils, toute substance acquise avec le temps, je ne suis plus personne, je n’ai plus fait d’études, je ne suis plus

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Valeria Parrella, Almarina ..................................................................................................................

spondere male a chi non rispetta la fila. Quella che va a denunciare lo specchietto scassato, le gomme bucate, lo sportello rigato dalla chiave. («Perché signora, lei sa chi è stato?» «Sí lo so: un parcheggiatore abusivo sotto San Pasquale, che voleva i soldi e che gli ho detto che invece li davo a un musicista». «Mi sa che pure il musicista era abusivo»). All’angolo della guardiola di Nisida mi lascio vivisezionare, ma è impressione solo mia, mi dico: ché tanta gente sale sopra alla mattina, educatori, insegnanti e maestri dei laboratori, e io ho pure la targa registrata, infatti mai che mi chiedano il perché. E forse manco lo sanno, loro, messi in servizio un giorno lí e il mese dopo dove, che saliamo la montagna del purgatorio, e quando scenderemo non saremo piú gli stessi. Elisabetta Maiorano. Da tre anni vado in giro con il passaporto invece che con la carta d’identità, perché sul passaporto non c’è scritto lo stato civile, e io ho ancora la carta su cui stamparono «coniugata» e non ho nessuna voglia di tornare all’anagrafe per farmela aggiornare. (C’era un sacco di polvere che rendeva l’atmosfera ironica, mentre facevo la carta d’identità: impossibile crederci davvero. Gli impiegati erano indistinguibili dai cittadini, o forse no: erano piú consunti, avevano maglioni che non sarebbero mai tornati di moda. «Ma non si può mettere “omesso” a stato civile e lavoro?» «Signò, quando non volete far sapere che siete spo-

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une enseignante qui a passé des concours, qui a fait des remplacements au Nord pendant des années et qui est capable d’insulter les gens qui essaient de vous passer devant dans la queue. Celle qui va porter plainte pour un rétroviseur cassé, des pneus crevés, une portière rayée par une clé. (« Pourquoi, Madame, vous savez qui a fait ça ? » « Oui, je le sais : un type qui vous aide à garer votre voiture sans autorisation sous l’église San Pasquale, qui voulait de l’argent et à qui j’ai dit que je préférais les donner à un musicien. » « Selon moi, le musicien non plus, il n’avait pas d’autorisation. » Au coin de la guérite de Nisida, je me laisse disséquer, mais c’est mon impression, c’est tout, je me dis : il y a tellement de gens qui montent le matin, des éducateurs, des enseignants et des maîtres d’ateliers, et moi ma plaque d’immatriculation est même enregistrée, et d’ailleurs on ne me demande jamais ce que je viens faire ici. Et ils ne le savent peut-être même pas, eux, affectés un jour ici et où ça le mois suivant, que nous gravissons la montagne du purgatoire, et que quand nous descendrons, nous ne serons plus les mêmes. Elisabetta Maiorano. Ça fait trois ans que je sors avec mon passeport et pas avec ma carte d’identité, parce que l’état civil n’est pas mentionné sur le passeport, et moi j’ai encore ma carte d’identité sur laquelle il y a marqué « mariée » et je n’ai aucune envie de retourner au commissariat pour la faire changer.

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Valeria Parrella, Almarina ..................................................................................................................

sata usate il passaporto». Io non ebbi la prontezza di rispondergli, né di ridere. Arrivo molto tempo dopo a capire cosa penso di quello che mi accade, sono piú pronta all’azione che alla riflessione: solo, me ne andai frustrata. Poi, con la vedovanza, il consiglio si è rivelato utile). Richiusa la sbarra alle spalle, mi sento piú libera. Ho avuto il mio lasciapassare di occhi, ho superato il limite invalicabile altrimenti, e per il primo tratto ascolto il sollievo. È un sollievo da ogni cosa. Se voi sapeste cosa significa potersi girare un momento, nella tirata che anticipa il tornante. Fermarsi mentre il corpo continua, scala la marcia, gioca con la frizione, prepara la curva nel volante, mentre il corpo sale: trovarsi dopo la sbarra e prima del carcere, lasciando tutta la città sotto con le sue ansie: che sono le mie. Se voi sapeste, quando camminate per i decumani, pregate nella chiesa del centro direzionale isola E accanto al Palazzo di giustizia. Voi che state in vacanza, quelli che avete appena finito di parlare al convegno: io vi vorrei chiamare tutti verso ovest, farvi girare e dirvi che quella donna piena di angoscia che sta ascendendo Nisida non è una detenuta. È una donna che ha cinquant’anni e si è sposata tardi. È successo per tanti motivi, ma soprattutto perché è andata in giro a fare supplenze. È salita a Treviso, ha imparato a bere il vino bianco alla mattina, a guidare nella neve. Ha imparato a far passare il tempo, a ballare il tango a Frosinone, ha aiutato il bidello a sten-

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(Il y avait un tas de poussière qui rendait l’atmosphère ironique, pendant que je faisais faire ma carte d’identité : impossible de vraiment y croire. Pas moyen de distinguer les employés des citoyens, ou peut-être si : ils avaient le visage plus creusé, ils portaient des pulls qui ne seraient plus jamais à la mode. « Mais on ne peut pas mettre “omissis” à état civil et travail ? » « Madame, quand vous ne voulez pas qu’on sache que vous êtes mariée, présentez votre passeport. » Je n’ai pas eu la présence d’esprit de répliquer, ni de rire. Il me faut du temps pour comprendre ce que je pense de ce qui m’arrive, je suis plus prompte à l’action qu’à la réflexion : je suis juste repartie frustrée. Puis, avec le veuvage, ce conseil s’est révélé utile). Quand la barrière se referme derrière moi, je me sens plus libre. J’ai eu mon laisser-passer avec les yeux, j’ai passé la limite infranchissable autrement, et au début, j’écoute le soulagement. C’est un soulagement de toutes choses. Si vous saviez ce que ça veut dire, pouvoir se retourner un moment, dans la ligne droite qui annonce le tournant. S’arrêter pendant que le corps continue, débraie, joue avec l’embrayage, prépare le virage dans le volant, pendant que le corps monte : se trouver après la barrière et avant la prison, en laissant toute la ville en bas avec ses angoisses : qui sont les miennes. Si vous saviez, quand vous marchez dans les decumani, que vous priez dans l’église du centre directionnel isola E à côté du Palais de justice. Vous qui

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Valeria Parrella, Almarina ..................................................................................................................

dere un lenzuolo, nel fine settimana, per proiettarci sopra un film. E quando è tornata si era fatto tardi assai. Ma il punto non è nemmeno questo. Il punto è che prima del carcere e già oltre la sbarra se voi guardate bene lo vedete, che lei prova uno strano sollievo. Forse quelli che viaggiano sempre provano lo stesso sentimento quando l’aereo si alza in volo. E qui invece ad alzarsi in volo c’è qualche gabbiano, e uno scoglio come un pinnacolo nel punto in cui la strada svolta. Intanto c’è silenzio. Il silenzio che non si sente mai: fuori dalle rotte, lontano da qualunque strada, e mare inaccessibile tutto d’intorno, che a destra finisce dentro il Vesuvio, e a sinistra dentro l’Italsider. Ma oggi è tutto spento: vulcano e acciaieria.

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êtes en vacances, vous autres qui venez de finir de parler au congrès : moi, je voudrais tous vous appeler vers l’ouest, vous obliger à vous retourner et vous dire que cette femme pleine d’angoisse qui monte vers Nisida n’est pas une détenue. C’est une femme qui a cinquante ans et qui s’est mariée sur le tard. Ça s’est passé comme ça pour beaucoup de raisons, mais surtout parce qu’elle n’a pas arrêté de bouger pour faire des remplacements. Elle est montée à Trévise, elle a appris à boire du vin blanc le matin, à conduire dans la neige. Elle a appris à faire passer le temps, à danser le tango à Frosinone, elle a aidé le concierge de l’école à tendre un drap, pendant le week-end, pour y projeter un film. Et quand elle est rentrée, il s’était fait vraiment tard. Mais ce n’est même pas ça le problème. Le problème, c’est qu’avant la prison et déjà après la barrière, si vous regardez bien, vous le voyez, qu’elle ressent un étrange soulagement. Peut-être que ceux qui voyagent beaucoup éprouvent le même sentiment quand l’avion prend son envol. Mais ici, c’est une mouette qui prend son envol, et il y a un rocher comme une aiguille à l’endroit où la route tourne. Et puis il y a le silence. Le silence que l’on n’entend jamais : hors des routes maritimes, loin de n’importe quelle route, et la mer inaccessible tout autour, qui finit à droite dans le Vésuve, et à gauche dans l’Italsider. Mais aujourd’hui, tout est éteint : volcan et aciérie.

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REMO RAPINO Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio MINIMUM FAX

1926 Anno che sulla terra entra in scena Liborio B. però d’estate

Mò, quelli là, gli altri, tutta la gente di sto cazzone

di paese, vanno dicendo che sono matto. E mica da mò, che me lo devono dire loro, quelli là, gli altri, tutta la gente di sto cazzone di paese che sono matto. Pure io lo so, e sempre ci penso, notte e giorno, d’inverno e d’estate, ogni giorno che il Padreterno fa nascere e morire, con la luce e con lo scuro, ci penso, che c’ho sempre pensato per vedere di capire a come mai sta coccia mia da quasi normale s’è fatta na cocciamatta, tutta na matassa sgarbugliata fuori di cervello. Che poi è come se uno cammina dritto e di botto ad un bivio tutto storto come una serpe, gli s’intreccica la sguardatura e cambia strada che manco se ne accorge, e così di botto ti ritrovi in un posto

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Traduction de Jérôme Nicolas

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1926 L’année où sur la terre entre en scène Liborio B. oui mais pendant l’été

Maintenant, ceux-là, les autres, tous les gens de ce gros

village à la con, ils disent que je suis fou. Et ça ne date pas d’hier, qu’ils doivent me le dire, ceux-là les autres tous les gens du gros village à la con que je suis fou. Moi aussi je le sais, et j’y pense tout le temps, nuit et jour, été comme hiver, chaque jour que le Père tout-puissant fait naître et fait mourir, avec la lumière et avec la nuit, j’y pense et que j’y ai toujours pensé pour essayer de voir comment que ça se fait que ma caboche qu’était presque normale est devenue une cabochefolle, un mélimélo embrouillaminé qu’a tout perdu la tête. Qu’en fait c’est comme quand on marche droit et puis hop à un croisement tout de travers comme un serpent, la regardure s’entreremêle et on

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Remo Rapino, Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio ..................................................................................................................

che non hai mai visto prima di allora, che non riconosci niente, non capisci le case, gli alberi, le facce delle persone, le voci, manco le voci e ti si stona pure la voce bella di tua madre, e non sai ritrovare manco la fontana della piazza grande, che pure è grossa, e dopo i piccioni per dispetto ti cacano sulla testa, non ritrovi manco la casa dove sei nato con quel portonaccio di legno vecchio tutto sgarrupato, che i tarli ci fanno le case popolari ci fanno, e se lo sugano pezzo pezzo, che pure la ruggine e la muffa si mangiano quei tarli. Può succedere. A me mi pare che così mi è successo pure a me. Può essere pure che tutto è cominciato proprio quando sono calato al mondo, almeno a sentire quello che mi raccontava mia mamma, che mio padre manco so chi è e dove sta adesso, se campa ancora, se s’è morto come un povero cristo disgraziato che era, perché ci era un povero cristo disgraziato e sfortunato. Chi se lo ricorda dice che se n’andò alla Merica, all’Argentina o allo Brasile, da qualche parte dopo il mare, ma un mare grande, mi dicono, ma io che ne posso sapere dopo tanto tempo. Quanto sarà grande quel cazzo di mare? Insomma quando sono nato tutte queste e tante altre cose succedevano, tante altre dovevano succedere. Tanta di quell’acqua è venuta pure quando sono nato, era na sera d’agosto che mio nonno, Peppe Bonfiglio, così mi raccontava sempre la buonanima di mamma mia, tra strilli e tremarelle teneva due candele strette forte in mano per fare un po’ di luce almeno, e smadonnava botta botta

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change de route qu’on s’en rend même pas compte, et hop d’un coup tu te retrouves à un endroit que t’avais jamais vu avant, que tu ne reconnais rien, que tu comprends pas les maisons, les arbres, les visages des gens, les voix, même pas les voix et même la voix la belle voix de ta mère elle s’éraille, et t’es même pas fichu de retrouver la fontaine de la grande place, qui est grosse pourtant, et après pour te faire une crasse les pigeons ils te chient sur la tête, tu ne retrouves même pas la maison où tu es né avec cette porte en bois toute vieille et vermoulue, même que les vers y ont creusé des HLM, et ils le sèchent à petits morceaux, et même la rouille et la moisissure ils les mangent ces vers. Ça peut arriver. Et moi j’ai l’impression que c’est ça qui m’est arrivé à moi aussi. Peut-être bien même que tout a commencé quand je suis descendu au monde, à en croire au moins ce que me racontait ma maman, que mon père je ne sais même pas qui c’est et où il est maintenant, s’il vit encore, s’il s’est mort comme un pauvre christ misérable qu’il était, parce qu’il s’était un pauvre christ misérable et malchanceux. Ceux qui se souviennent de lui disent qu’il s’en est allé à la Mérique, à l’Argentine ou au Brésil, quelque part après la mer, mais une grande de mer, qu’ils me disent, mais moi qu’est-ce que vous voulez que j’en sache si longtemps après. Comment qu’elle est grande cette conne de mer ? En somme quand je suis né toutes ces choses et bien d’autres encore elles arrivaient, bien d’autres encore devaient arriver. Il y a toute cette eau qui

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Remo Rapino, Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio ..................................................................................................................

a dire: Maddò cazzo sta quell’asino di don Nicola? Maddò cazzo sta quella puttana di commar’Elisa? Così in un girotondo di madonne sono nato. Poi tutta una vita di cicoria e misticanza. Quello così era allora. E così, pure se la fame non ci mancava mai a casa mia, poi non mi sono morto proprio per niente. Mio nonno invece si morì all’improvviso, che nessuno ci pensava che si poteva morire a quel modo, dalla mattina alla sera. Che poi era di pomeriggio che gli s’era rotta una palanca dell’impalcatura, un legno fracicato dall’acqua e dal vento, na spaccata sotto i piedi, lì al cantiere dove stavano facendo la scuola nuova e ha fatto un volo proprio su una catasta di mattoni appena scaricati, e la schiena, che già era marcia di suo, s’era fatta in cento pezzi, forse di più, e lui ha rinnegato Cristo morto e s’è morto pure lui. Solo così si poteva morire mio nonno, rinnegando. Così mia madre che cominciava a stare male, piano piano, un colpo di tosse ogni tanto, ma na cosa lunga, fino a sputare sangue scuro sul cuscino, intanto sputava sangue, sputava e non parlava più anche se la sera mi raccontava storie e favole che mò non me lo ricordo bene e che forse è meglio che me lo sono scordato, a parte quella storia che avevo gli occhi uguali a quelli di papà mio. Che uno come fa a non incazzarsi con il mondo, il cielo e la terra, e i preti che con un patre e un gloria ti volevano consolare, e pure con il fatto del paradiso, con gli angeli, che già ci sentivo na puzza di fregamidolce, ma di questo trucco solo dopo me ne sono

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est tombée quand je suis né aussi, c’était un soir d’août que mon grand-père, Peppe Bonfiglio, c’est ce que me racontait ma maman défunte, en plein milieu des cris et des tremblotes tenait bien fort dans ses mains deux bougies pour faire un peu de lumière au moins, et il jurait et il blasphémait des bordées de Mais il est où bordel cet âne de don Nicola ? Mais elle est où bordel cette putain de commère Elisa ? C’est comme ça dans une farandole de jurons que je suis né. Et puis ensuite toute une vie d’herbes sauvages et de pissenlits. C’est comme ça que c’était dans le temps. Et comme ça, même si la faim chez nous ne nous manquait jamais, je ne me suis pas mort mais alors pas du tout. Mon grand-père par contre il s’est mort brusquement, que personne n’y pensait qu’on pouvait mourir de cette façon-là, d’un jour à l’autre. Que c’était l’après-midi qu’elle s’est cassée une planche de l’échafaudage, un bois démantibulé par l’eau et par le vent, une cassure sous ses pieds, là au chantier où ils faisaient la nouvelle école et il s’a dégringolé sur un tas de briques qu’on venait de décharger, et son dos, qui était déjà pourri au départ, il s’était cassé en cent morceaux, peut-être même plus que ça, et il a renié le Christ mort et lui aussi il s’est mort. C’est seulement comme ça qu’il pouvait se mourir mon grandpère, en reniant. Comme ça ma mère qui commençait à aller mal, peu à peu, une toux de temps en temps, mais un truc qui durait, jusqu’à cracher du sang noir sur l’oreiller, et elle crachait du sang, elle crachait et elle ne parlait

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accorto. Così allora mi è venuto di raccontare tutto quello che mi è successo da quando sono nato a mò che ciò più di ottantanni, qua sul tavolo di marmo della cucina. Che è freddo e non so perché sto marmo e sto freddo, che il tavolo col marmo sopra mi fa pensare alla morte. Ogni tanto ci penso alla morte pure se non sto al tavolo, che ti fai una sguardata intorno e vedi che ti muore ogni giorno uno, che pure se non lo conosci ci sono i manifesti da morto fatti apposta per i morti, li vedi, li leggi e ti dispiace sempre un poco anche se quel nome là stampato ti è straniero. Io ci penso pure alla mia di morte, ma poco, una chicca di cane. Per questo scrivo, scrivo e riscrivo, così la morte aspetta, pure se certe volte mi pare di vederla, con la faccia bianca bianca e gli occhi cerchiati di nero come quelli che soffrono di cuore e io gli dico di aspettare ancora qualche mese, almeno fino alla natalizia che almeno me lo ricordo un’ultima volta il presepio che fanno alla chiesa grande, che quando finisce il quaderno poi la chiamo io, insomma mi faccio addosolare che sono pronto, che la morte queste cose lo capisce a volo, mica ci vuole tanta spiega. Lei alla fine è pure un tanticchio gentile, fa la faccia della pazienza e ci crede e se ne va e una volta, ma una volta sola, mi ha pure sorriso, ma appena appena, na cosa di sguiscio, mi ha salutato con la mano secca che come muoveva le dita per fare ciao gli crichilava tutta come uno che ha l’artrosi alle ossa e quando cambia il tempo sente le fittarelle come le spine del cardone. Mò

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plus même si le soir elle me racontait des histoires et des contes que je ne m’en souviens plus trop bien maintenant et qu’il vaut peut-être mieux que je les ai oubliés, à part cette histoire que j’avais les yeux pareils à ceux de mon papa. Comment qu’on fait pour ne pas se mettre en rogne avec le monde entier, le ciel et la terre, et les prêtres qui voulaient te consoler avec un pater et un gloria, et aussi avec le machin du paradis, avec les anges, que je sentais déjà que ça sentait la filouterie toute en douceur, mais de ce truc je ne m’en suis rendu compte qu’après coup. Comme ça alors j’ai eu envie de raconter tout ce qui m’est arrivé depuis que je suis né jusqu’à maintenant que j’ai plus de quatre-vingts ans, ici sur la table de marbre de la cuisine. Qui est froide et je ne sais pas pourquoi ce marbre et ce froid, que la table avec le marbre dessus me fait penser à la mort. De temps en temps j’y pense à la mort même si je ne suis pas à la table, que tu te regardes autour de toi et que tu te vois que chaque jour il y en a un qui te meurt, que même si tu le connais pas il y a les affichettes de mort faites exprès pour les morts, tu les vois, tu les lis et ça te fait toujours un peu de peine même s’il t’est étranger ce nom qu’est imprimé là-dessus. Moi j’y pense aussi à la mienne de mort, mais pas beaucoup, rien qu’une miette. C’est pour ça que j’écris, j’écris et je récris, comme ça la mort attend, même si des fois j’ai l’impression de la voir, avec son visage tout blanc et ses yeux cernés de noir comme les gens qui sont malades du cœur et

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Remo Rapino, Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio ..................................................................................................................

che se n’è andata intanto io faccio un bel sospiro di calmamento, chiudo gli occhi per ricordare le cose che mi devo ricordare e mi rimetto a scrivere ma piano, che se vado piano cosi, la vita mi dura un poco di più e questo pure buono è.

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moi je lui dis d’attendre encore quelques mois, au moins jusqu’à Noël qu’au moins je me la rappelle une dernière fois la crèche qu’ils font dans la grande église, que quand le cahier sera fini je l’appellerai moi-même, en somme je me fais entendre que je suis prêt, que ces choses la mort elle les comprend illico, pas la peine de tant d’explique. Elle à la fin elle est même une tantinette gentille, elle fait la mine de la patience et elle y croit et elle s’en va et une fois, mais une seule fois, elle m’a même souri, mais rien qu’à peine, du coin de la bouche, elle m’a salué de sa main sèche qu’elle lui grinçait complètement comme elle bougeait les doigts pour faire ciao comme quelqu’un qui a de l’arthrose et quand le temps change il a des douleurs comme les épines du cardon. Maintenant qu’elle est partie moi je pousse un beau soupir de calmement, je ferme les yeux pour me rappeler les choses que je dois me rappeler et je me remets à écrire mais doucement, que si je vais doucement comme ça, la vie me dure un peu plus longtemps et ça aussi c’est bon.

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SANDRO VERONESI Il Colibrì LA NAVE DI TESEO

Dovrebbe essere noto – e invece non lo è – che il de-

stino dei rapporti tra le persone viene deciso all’inizio, una volta per tutte, sempre, e che per sapere in anticipo come andranno a finire le cose basta guardare come sono cominciate. In effetti, quando un rapporto nasce c’è sempre un momento di illuminazione nel quale si riesce anche a vederlo crescere, distendersi nel tempo, diventare ciò che diventerà e finire come finirà – tutto insieme. Si vede bene perché in realtà è già tutto contenuto nell’inizio, come la forma di ogni cosa è contenuta nel suo primo manifestarsi. Ma si tratta di un momento, per l’appunto, e poi quella visione ispirata svanisce, o viene rimossa, ed è solo per questo che le storie tra le persone producono sorprese, danni, piacere o dolore imprevisto. Lo sapevamo, per un lucido, breve momento l’avevamo saputo, all’inizio, ma poi, per il resto della nostra vita, non l’abbiamo saputo più. Come quando ci si alza dal letto, di notte, e ci si ritrova a brancolare nel buio della nostra stanza per

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Traduction de Dominique Vittoz

...................................................................................................................... La traduction française du roman paraîtra aux Éditions Grasset

Le sort d’une relation entre deux personnes — on de-

vrait le savoir, mais on ne le sait pas — est toujours fixé au départ et une fois pour toutes : pour savoir comment elle va finir, il suffit de regarder comment elle a commencé. En effet à l’aube d’une relation, il y a toujours un moment d’illumination où l’on peut la voir fleurir, s’installer dans la durée, devenir ce qu’elle deviendra et finir comme elle finira — tout ça à la fois. On la voit nettement parce qu’en réalité elle est contenue tout entière dans son commencement, de même que la forme de toute chose est présente dans sa première manifestation. Mais c’est l’affaire d’un instant, puis cette vision inspirée s’évanouit ou est refoulée, et ceci explique pourquoi les histoires entre les gens causent des surprises, des dégâts, du plaisir ou de la douleur imprévue. Nous le savions, dans un éclair de lucidité nous l’avions su, au début, mais ensuite, pendant le reste de notre vie, nous ne l’avons plus su. Comme quand on se lève la nuit et qu’on tâtonne dans l’obscurité de la

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andare in bagno, e ci sentiamo smarriti, e accendiamo la luce per mezzo secondo, e poi la rispegniamo subito, e quel lampo ci mostra la strada, ma solo per il tempo necessario ad andare a fare la nostra pisciatina e ritornare a letto. La prossima volta saremo di nuovo smarriti. Quando il disturbo percettivo di sua figlia Adele si manifestò, all’incirca all’età di tre anni, Marco Carrera ebbe quel lampo, vide tutto, ma quella visione fu così insopportabile – aveva a che fare con sua sorella Irene – che immediatamente dopo la rimosse, e continuò a vivere come se non ci fosse mai stata. Forse con la psicoanalisi avrebbe potuto recuperarla, ma assediato com’era da persone che vi facevano ricorso, per la psicoanalisi Marco aveva sviluppato un’insuperabile avversione. Questo almeno era quanto diceva lui. Uno psicoanalista, invece, avrebbe potuto dire che quell’avversione era per l’appunto il meccanismo adottato per difendere la sua rimozione. Fatto sta che la rimozione fu immediata e profondissima, tanto che quella visione mai più riaffiorò, anche dopo che le cose furono andate come dovevano andare – come Marco Carrera per un momento, all’inizio, aveva saputo che sarebbero andate, e per il resto della sua vita non più. Data l’età della bambina, si può dire che l’esordio della sua patologia coincise con l’inizio del suorapporto col padre, fino a quel giorno ancora abbastanza indefinito, e a determinare questa coincidenza fu la bambina stessa, con la prima – probabilmente – risoluzione autonoma della sua vita. Fu infatti

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chambre pour aller aux toilettes : on se sent perdu, on allume une fraction de seconde, on éteint aussitôt et ce flash nous montre le chemin, mais juste le temps nécessaire pour aller faire pipi et revenir nous coucher. La fois suivante, on sera à nouveau perdu. Quand, vers trois ans, sa fille Adele manifesta un trouble de la perception, Marco Carrera eut ce genre de flash, il vit tout, mais ce fut une vision si insupportable — elle se rapportait à sa sœur Irene — qu’il la refoula aussitôt et continua de vivre comme si elle n’avait jamais eu lieu. Il aurait peut-être réussi à l’exhumer grâce à la psychanalyse, mais cerné comme il l’était de gens qui y recouraient, il avait conçu à son égard une aversion insurmontable. Du moins l’affirmait-il. Un psychanalyste pour sa part aurait pu affirmer que cette aversion était justement le mécanisme que Marco adoptait pour protéger son refoulement. En tout cas le refoulement fut immédiat et profond, si bien que cette vision ne refit jamais surface, même après qu’il en fut allé comme il devait en aller — comme Marco Carrera un instant, au début, avait su qu’il en irait, puis ne l’avait plus su pour le reste de sa vie. Vu l’âge de l’enfant, on peut dire que le départ de sa pathologie coïncida avec le début de sa relation avec son père, restée assez vague jusqu’à ce jour, coïncidence créée par la fillette elle-même, dont ce fut là sans doute la première résolution autonome. Par un lumineux dimanche d’août dans la cuisine à Bolgheri, alors qu’ils prenaient

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Sandro Veronesi, Il Colibrì ..................................................................................................................

in una luminosa domenica di agosto, mentre lui e lei stavano facendo colazione nella cucina della casa di Bolgheri e la madre era rimasta a letto ancora un po’, che Adele Carrera comunicò a suo padre di avere un filo attaccato alla schiena. Nonostante l’età si spiegò molto chiaramente: un filo partiva dalla sua schiena per andare a finire nella parete più vicina, sempre. Per qualche ragione nessuno lo vedeva, e quindi lei era costretta a stare sempre attaccata al muro, per evitare che la gente ci inciampasse o ci rimanesse intrappolata. E quando non ci puoi stare, le chiese Marco, attaccata al muro? Come fai? Adele gli rispose che in quei casi doveva stare molto attenta, e se qualcuno le passava dietro le spalle e rimaneva impigliato nel suo filo, lei doveva girargli intorno per liberarlo – e gli fece vedere come. Marco continuò a farle domande. Ma ce l’avevano tutti, questo filo attaccato alla schiena, o ce l’aveva solo lei? Ce l’aveva solo lei. E non le pareva strano? Sì, le pareva strano. Le pareva strano di avere il filo o che gli altri non l’avessero? Le pareva strano che gli altri non l’avessero. E in casa, le chiese, come fai? Come fai con la mamma, con me? Ma tu, le spiegò la bimba, non mi passi mai dietro la schiena. Ecco, fu qui, fu in questo momento, dinanzi a questa rivelazione così sorprendente – lui non passava mai dietro la schiena di sua figlia – che Marco Carrera sentì un brivido e il suo rapporto con lei ebbe inizio. E fu sempre in questo momento che vide, che seppe, che si spaventò – e per questo subito dopo questo momento si dimenticò di avere visto, di avere saputo e d’essersi spaventato.

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leur petit-déjeuner tous les deux et que la maman s’attardait au lit, Adele Carrera informa son père qu’elle avait un fil dans le dos. Malgré son jeune âge, elle s’expliqua très clairement : un fil partait de son dos et allait s’accrocher dans le mur le plus proche, toujours. Pour une raison inexpliquée, personne ne le voyait et elle était donc obligée de toujours rester contre le mur pour éviter que les gens trébuchent dedans ou s’y empêtrent. Et quand tu ne peux pas rester contre le mur, lui demanda Marco, comment tu te débrouilles ? Adele lui répondit que dans ce cas elle devait faire très attention, si quelqu’un passait derrière elle et se prenait dans son fil, elle devait tourner autour de lui pour le libérer — et elle lui montra comment. Marco continua à lui poser des questions. Tout le monde avait ce fil dans le dos ou juste elle ? Juste elle. Et ça ne lui semblait pas bizarre ? Si, ça lui semblait bizarre. Ça lui semblait bizarre d’avoir un fil ou que les autres n’en aient pas ? Que les autres n’en aient pas. Et à la maison, lui demanda-t-il, comment tu fais ? Comment tu fais avec maman, avec moi ? Mais, lui expliqua-t-elle, tu ne passes jamais derrière moi. Voilà, ce fut à cet instant, devant cette révélation si surprenante — il ne passait jamais derrière sa fille — qu’un frisson parcourut Marco Carrera et que sa relation avec elle commença. Et au même moment il vit, il sut et il eut très peur — raison pour laquelle, l’instant d’après, il oublia qu’il avait vu, qu’il avait su et qu’il avait eu très peur.

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GIAN MARIO VILLALTA L’apprendista SEM

Tilio entra e saluta. La sacrestia è immersa nell’ombra,

viene l’autunno, comincia così, con il buio la mattina e lui e Fredi che indovinano uno il viso dell’altro mentre parlano senza accendere luci. Appoggia il termos, prende la coperta. «Hai sentito che frescolino» dice sottovoce a Fredi. Vuoi vedere che dorme, pensa Tilio indeciso se lasciarlo stare o fargli un dispetto. Prova un fischio leggero. Niente. Non vuole metterlo di cattivo umore, allora pensa di togliergli la coperta con attenzione, piano, come faceva con Paolo quando era piccolo, che poi era bello vederlo che la cercava per stare al caldo ancora un poco, nel sonno, fino a quando apriva gli occhi meravigliato di vedere suo padre in piedi accanto al letto. Diceva sempre “Ancora un minuto”, e un minuto dopo si alzava. La coperta è facile da far scivolare dalle orecchie fino a scoprire le spalle. Gli occhi di Fredi rimangono chiusi. Il collo ha una posizione innaturale, adesso Tilio se ne ac-

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Traduction de Jérôme Nicolas

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Tilio entre et dit bonjour. La sacristie est plongée dans

l’ombre, l’automne arrive, ça commence comme ça, avec l’obscurité le matin et Fredi et lui qui devinent l’un le visage de l’autre pendant qu’ils parlent sans allumer les lumières. Il pose le thermos, prend la couverture. « Tu sens ça comme il fait frais », chuchote Fredi. Je parie qu’il dort, pense Tilio, en se demandant s’il va le laisser tranquille ou lui jouer un tour. Il essaie de siffler doucement. Rien. Il ne veut pas le mettre de mauvaise humeur, alors il se dit qu’il va lui enlever sa couverture en faisant attention, doucement, comme il le faisait avec Paolo quand il était petit, c’était mignon ensuite de le voir la chercher pour rester encore un peu au chaud, dans son sommeil, jusqu’à ce qu’il finisse par ouvrir les yeux, tout étonné de voir son père debout à côté du lit. Il disait tout le temps « encore une minute », et une minute après il se levait. La couverture c’est facile de la faire glisser depuis ses oreilles jusqu’à découvrir ses épaules. Les yeux de Fredi restent fer-

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Gian Mario Villalta, L’apprendista ..................................................................................................................

corge, mette un ginocchio a terra, abbraccia Fredi e lo trascina giù, lo stende sul pavimento. Lo scuote piano. Prova a sentire il cuore. Niente. Il viso non mostra sofferenza, gli occhi sono chiusi, ha sentito arrivare la morte e si è lasciato prendere? Tilio non riesce a fare altro che guardarlo, toccargli le mani, il viso. Il corpo di Fredi è morbido, la pelle delle mani liscia e tiepida, non sei andato da nessuna parte, pensa Tilio, sei qui, ancora tutto qui. Fredi si è spento. Non può fare a meno di pensare che Fredi, tutta la sua vita, tutte le cose che ha fatto e che ha visto, tutte le parole che ha detto sono nel buio di questo corpo disteso. È Fredi. E non è più lui. Tutto buio. Il corpo pieno dei suoi organi, di sangue, di umori dentro un buio che non è neanche più buio, non è più Fredi. Ma Fredi si può guardare, si può toccare, non è andato da nessun’altra parte. Tilio immagina il buio che è arrivato veloce, attraversando tutta la vita di Fredi, cancellandola come una grande città che affonda nella notte fino a scomparire. Filari di luci, corone, cortei colorati di fari, prima l’aeroporto, poi le stradine in collina, dopo si spegne il nastro pulsante della tangenziale. Si ritira, la luce, come risucchiata nel nulla, si spengono i viali, gli alberghi in periferia, le schiere di villette sul lago. Giorni e giorni che entrano nel buio, visi e visi uno a uno, a decine, i corpi nella folla cancellati dal buio. Palazzi visti in viaggio, visti in sogno, opere d’arte, profili di montagne, interi pomeriggi, mesi, anni sprofondano nell’oscurità. La luce

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més. Son cou a une drôle de position, maintenant Tilio s’en rend compte, il met un genou à terre, il prend Fredi dans ses bras et le tire par terre, il l’allonge sur le sol. Il le secoue doucement. Il essaie d’écouter les battements de son cœur. Rien. Son visage n’exprime aucune souffrance, ses yeux sont fermés, il a senti arriver la mort et il s’est laissé prendre ? Tilio n’arrive pas à faire autre chose que le regarder, toucher ses mains, son visage. Le corps de Fredi est tendre, la peau de ses mains est lisse et tiède, tu n’es allé nulle part, pense Tilio, tu es ici, encore complètement ici. Fredi s’est éteint. Il ne peut pas s’empêcher de penser que Fredi, toute sa vie, toutes les choses qu’il a faites et qu’il a vues, tous les mots qu’il a dits sont dans le noir de ce corps étendu. C’est Fredi. Et ce n’est plus lui. Tout noir. Le corps plein de ses organes, de sang, d’humeurs dans un noir qui n’est même plus noir, ce n’est plus Fredi. Mais Fredi, on peut le regarder, le toucher, il n’est allé nulle part ailleurs. Tilio imaginait le noir qui est arrivé vite, en traversant toute la vie de Fredi, en l’effaçant comme une grande ville qui s’enfonce dans la nuit jusqu’à disparaître. Des rangées de lumières, des couronnes, des cortèges colorés de phares, d’abord l’aéroport, puis les petites routes dans les collines, enfin s’éteint le ruban pulsant du périphérique. Elle se retire, la lumière, comme aspirée dans le néant, les avenues s’éteignent, les hôtels en banlieue, les rangées de petites maisons sur le lac. Des jours et des jours qui entrent dans le noir, des visages et des visages un par un,

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si ritira come un’onda dai parchi recintati nei quartieri di periferia, lascia per un istante ancora visibili le sagome dei palazzi vicino alla stazione dei treni, poi più niente, anche il costato ruggine della ferrovia è inghiottito dalla tenebra. L’amore, i desideri, le speranze, l’onda della notte avanza e sommerge tutto. Le chiese, i ristoranti, le vie che diventano strette, le più antiche, scompaiono. L’intera adolescenza sprofonda. La piazza con la fontana, i lampioni, tutto scompare risalendo le cellule, occupando il sangue, fino al cervello, ai tessuti più fini. Dove già c’era buio, i cavi elettrici interrati, le tubature, le gallerie sotterranee, gli scantinati, ancora più buio, buio, buio. C’è un bambino in fondo al corridoio, quando non resta che un ultimo barlume bianco dietro di lui. E si spegne. La città è ancora calda di vita, il corpo di Fredi è ancora intatto. La notte della terra, la notte del cielo e di tutto l’universo li ha sommersi, stanno come in fondo a un mare di silenzio e di oscurità, senza sapere più che cos’è il silenzio, senza più vedere che è notte ovunque. Tilio ha le mani sul viso di Fredi. Deve fare qualcosa adesso. Chiamare l’ambulanza non serve a niente. Va a svegliare don Livio. Aspetta che finisca di vestirsi, lo accompagna, fa una cosa stupida come tendere la mano aperta per mostrargli Fredi, quando entrano in sacrestia, eccolo, questo è tutto lui adesso, questa cosa qui per terra.

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par dizaines, les corps dans la foule effacés par le noir. Des immeubles vus en voyage, vus en rêve, des œuvres d’art, des profils de montagnes, des après-midi entiers, des mois, des années sombrent dans l’obscurité. La lumière se retire comme une vague des parcs clôturés dans les quartiers périphériques, elle laisse pendant un instant encore visibles les formes des immeubles près de la gare ferroviaire, puis plus rien, même les nervures rouille de la voie de chemin de fer est engloutie par les ténèbres. L’amour, les désirs, les espoirs, la vague de la nuit avance et submerge tout. Les églises, les restaurants, les rues qui deviennent étroites, les plus vieilles, disparaissent. Toute l’adolescence sombre. La place avec la fontaine, les réverbères, tout disparaît en remontant les cellules, en occupant le sang, jusqu’au cerveau, aux tissus les plus fins. Où il y avait déjà le noir, les câbles électriques enterrés, les tuyauteries, les galeries souterraines, les sous-sols, encore plus noir, noir, noir. Il y a un enfant au bout du couloir, quand il ne reste qu’une dernière lueur blanche derrière lui. Et elle s’éteint. La ville est encore chaude de vie, le corps de Fredi est encore intact. La nuit de la terre, la nuit du ciel et tout l’univers les a submergés, ils sont comme au fond d’une mer de silence et d’obscurité, sans plus savoir ce qu’est le silence, sans plus voir qu’il fait nuit partout. Les mains de Tilio sont sur le visage de Fredi. Il faut qu’il fasse quelque chose maintenant. Ça ne sert à rien d’appeler une ambulance. Il va réveiller don Livio. Il attend qu’il

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Tilio si incarica di avvertire la sorella, sa dove abita. Don Livio ha detto che pensa lui ai certificati, a chiamare l’agenzia per tutto il resto.

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finisse de s’habiller, il l’accompagne, il fait une chose aussi idiote que tendre la main ouverte pour lui montrer Fredi, quand ils entrent dans la sacristie, le voilà, c’est tout lui maintenant, cette chose ici par terre. Tilio se charge de prévenir sa sœur, il sait où elle habite. Don Livio a dit qu’il va s’occuper des certificats, d’appeler l’agence pour tout le reste.

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