Firenze

Calcio, Katia Schroffenegger: "Nel tempo libero spacco legna e sogno la Nazionale"

Intervista all'altoatesina, che difende la porta della squadra femminile toscana
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Cosa può avere in comune la via ferrata, ovvero l'arrampicata su una roccia della montagna, con un tiro respinto su un campo di calcio? Pensateci bene. Da una parte sei imbracato e attaccato con una corda al moschettone che struscia e leviga uno spesso filo di acciaio al quale ti agganci mentre sali verso la vetta. Dall'altra, invece, devi fronteggiare l'attaccante di turno e provare a opporre il tuo istinto alla rapidità di esecuzione dell'avversario. Katja Schroffenegger, altoatesina nata e cresciuta a Cornedo all'Isarco, paesino di quattrocento anime alle porte delle Dolomiti, utilizza un termine ben preciso per spiegare cosa possa mettere insieme i due aspetti. "L'extremis". Cita il latino e non è un caso, perché ha studiato filologia italiana all'Università e da sempre è appassionata di storia, lingue, comunicazione e rapporto col territorio. 

 

"Tra fare una ferrata e stare tra i pali e difendere la porta della tua squadra, l'extremis è tutto ciò che c'è in comune". Katja Schroffenegger, classe 1991, gioca nella Fiorentina Femminile e deve fare i conti ogni giorni col termine extremis. Dal latino, "che vale negli estremi", cioè "agli ultimi momenti". All'ultimo istante, quando sei spinto alla decisione finale. Cosa fare? "Sono nata e cresciuta in un paese di montagna, in mezzo alle Dolomiti. Tutte le valli intorno le ho frequentate e vissute tra sci d'inverno ed escursioni d'estate - racconta - C'è poca città da noi. Ho vissuto un po' tutto, dalle arrampicare indoor alle escursioni come le ferrate in Val d'Ega. Dico extremis perché in montagna e in porta sei in extremis. O vinci o perdi, o pari o vieni superata dall'avversario. E in montagna, o ci arrivi o non ci arrivi alla vetta. Poi c'è quella sensazione del vuoto, anche: per fortuna in montagna il vuoto lo vivi una sola volta". 

 

Nel paesino di Katja la quasi totalità dei suoi abitanti è di madrelingua tedesca. Non una novità per una zona, il Sudtirol, che storicamente è appartenuta all'Austria e che al termine della Prima Guerra Mondiale è passata all'Italia. "In casa parlo il tedesco coi miei - dice Katja - ma appena scendo in città la maggior parte delle persone parla italiano. Ai tempi della Prima Guerra Mondiale e del fascismo si avvertiva un conflitto tra le due lingue ma non adesso. Ora si convive, si sta insieme e tutto questo mi arricchisce molto. E' bello sapere due culture e due lingue alle quali ho aggiunto anche inglese e latino. Così mi sento molto ricca, è un bene". 

 

La Gran Vera, come chiamano il primo conflitto mondiale in Alto Adige. Impossibile dimenticare. Mentre fai una ferrata o segui un sentiero, anche adesso, puoi imbatterti in tunnel scavati a mano dai soldati, in pezzi ormai arrugginiti di scatolette, granite, fili spinati. Montagne imponenti che più di 100 anni fa furono una triste e drammatica scenografica per un conflitto che ha lasciato segni indelebili. "Una guerra molto importante per il nostro territorio, una provincia intera passata dall'Austria al controllo dell'Italia. Siamo diventati italiani e dagli anni Settanta siamo una Regione autonoma. Molte cose sono successe, è stato un periodo molto difficile e complicato specie per miei nonni e miei genitori, per chi ha vissuto quegli anni. Ma io la vedo più come un'opportunità, adesso. Un altoatesino può dire di sentirsi più ricco grazie anche alla cultura e alla letteratura italiana. Per la bellezza del nostro paese, delle città. Abbiamo delle belle montagne, i canederli ma anche la letteratura e la cultura". 

 

"Nel tempo libero spacco la legna, disegno, curo il fienile" 

 

Katja nel tempo libero, tra le altre attività, può ritrovarsi a spaccare legna e mettere insieme il fieno del maso della sua famiglia. "Da noi è normale, lo faccio per mandare avanti il maso dei miei. Mi è capitato più spesso durante il lockdown di inizio 2020 ma anche adesso. Si fanno tuti i lavori che ci sono da fare: da tagliare legna a fare il fieno. Potrei passare per una Heidi dei giorni nostri, no? Ma si deve fare così, per avere una casa calda d'inverno nel tempo libero c'è da fare anche quello. Adesso ci sono i macchinari, buona parte del lavoro è meccanizzato". E poi, cosa altro fa nel tempo libero? "Disegno. Faccio anche dei lavoretti con le mani, sprigiono la mia creatività. Dal cucire al disegnare, dal lavoro con la legna alle sculture. Vera e propria arte che poi metto in casa mia". 

 

Gli inizi e la Bundesliga vinta nel Bayern di Neuer e Ribery 

 

Nel suo paesino non c'era praticamente niente ma Katja aveva anche un'altra passione. Il calcio. "La mia vicina di casa iscrisse suo figlio al club in città e mentre lei lo portava io mi ritrovavo a giocare coi fratelli minori dei bambini che militavano nel club. Io stavo con loro, il numero via via aumentava e così è nata l'altra squadra. Era un club molto piccolo e povero, che perdeva i migliori giocatori che andavano a finire nelle società più ambiziose della città. Ho giocato sette anni nell'Haslacher e per sette anni sono arrivata ultima. Non giocavo in porta, però. Ero l'unica mancina, dicevano che avevo un buon piedino e allora non potevo andare tra i pali. Poi, a 12 anni, mi sono messa in porta nonostante non sapessi niente e non avessi mai fatto neanche un allenamento coi guantoni. Ero l'unica che volesse farlo e quindi mi tenevano cara". 

 

Da ragazzina a portiere dei Bayern Monaco. Katja prima passa al Jena, club tedesco. Poi al Bayern. E' il 2013, Neuer tra i pali e Ribery che sfiora il pallone d'oro. "Li vedevo quando andavo a mensa perché non ci allenavamo nello stesso centro sportivo. Ho sempre seguito Ribery e adesso è bello averlo a Firenze, nel mio stesso club, e vedere le sue meraviglie in campo con la maglia viola". La Germania come stile di vita che a Katja, in quegli anni, stava un po' stretto. "E' stata dura per me. In Germania già in quegli anni si poteva pensare di fare la calciatrice, in Italia no. Ho iniziato a studiare, a fare l'università. Dovevo trovare il mio equilibrio e con tre lavori full time e gli allenamenti, di conseguenza mi infortunavo spesso. Dovevo capire come trattarmi, come gestirmi. Quando l'ho capito non ho più avuto infortuni gravi, ho trovato il mio equilibrio". 

 

Il lavoro nel marketing, nella comunicazione

 

L'altra grande passione è la comunicazione. Katja pensa al calcio, le piace da impazzire. Ma non può permettersi di tralasciare studi e lavoro. "Soltanto quest'anno, alla Fiorentina, mi sono dedicata per la prima volta esclusivamente allo sport e alla professione del calcio. Sono passata in pochi giorni dal Bayern vincitore della Bundesliga a un club di dilettanti a Unterland, in Serie B nell'Alto Adige. Perché? In quel momento il calcio italiano e la Serie A femminile non erano ancora pronti per potersi dedicare solo a quello. Mi allenavo la sera, sono passata da aver vinto una cosa grossissima col Bayern a lavorare 40 ore a settimana più gli straordinari e con le ferie andare in Nazionale. Anche all'inter, due anni fa, ci allenavamo la sera. Non era calcio professionistico, proprio nell'atteggiamento. Quando giocavo nell'Inter lavoravo anche a Bolzano, nel reparto comunicazione della provincia, e mi facevo 1000 km a settimana". 

 

Le piace così tanto la comunicazione? "L'ho fatta all'università, poi all'Allianz Assicurazioni, a Colonia, poi in provincia come reparto marketing, content, come giornalista, storytelling. Mi piace, certo. Anche se ero finita a creare contenuti per social media: se lo fai per il turismo e parli di mucche, mele e latte, beh. Non è il massimo per me. Mi piacevano più i ritratti dei personaggi legati alla mia terra, perché io sono attaccata alle mie radici". 

 

"Ero arrivata fisicamente al limite ma adesso ho le idee chiare"

 

Adesso ha messo la testa al 100% sul calcio anche per tornare in Nazionale? "Si. Sono stata infortunata un anno, ho fatto l'Europeo 2017 e mi sono fatta male. Poi la ct Bertolini mi ha convocata ma ero arrivata al limite fisicamente, non ce la facevo più tra Serie B e il lavoro. Sono rimasta a casa un anno e adesso che ha visto che sto facendo le cose per bene, e ho le idee più chiare, mi ha richiamata". E a Firenze, quali obiettivi? "Tornare a vincere, riportare la società in alto, dove merita di stare. Tra un anno e mezzo poi ci sarà l'Europeo e mi piacerebbe esserci da protagonista. Tutto passa da qui, se faccio bene qui posso fare bene là". E in futuro? "E' il campo il mo futuro. Ho un contratto fino al 2022. A inizio anno ci eravamo posti degli obiettivi che adesso non possiamo più raggiungere. Allora starà a noi provarci la prossima stagione. Io sono qui per dare il mio contribuito e poi si penserà a cosa fare dopo il 2022". 

 

Ma i portieri, per motivarsi, cosa fanno? Si rivedono le loro migliori parate? Ne ha qualcuna, lei? "Ce ne sono tante, a volte le rivedo nei momenti bui per aumentare l'autostima, quando ho bisogno di sentirmi forte. Guardo le mie parate ma anche quelle di altri portieri. Nell'ultimo anno ce ne sono state tante e le porto volentieri con me", E' vero che in un'azione, quando l'attaccante realizza o sbaglia una rete, si dà più peso al suo gesto e non, eventualmente, a quello del portiere? "No, non penso sia così. Sui giornali escono i bomber che segnano e i portieri che parano tutto ma si vede meno quello che sta nel mezzo. Cioè se sbagliano i difensori, se un centrocampista fa un passaggio filtrante. Sono i due estremi. Nel calcio è così, si sceglie da che parte stare e quando sbagli le critiche sono maggiori. Sta a te scegliere. Io ho scelto di stare qui, in porta". L'estremo di Katja Schroffenegger, vissuto come momento decisivo. O si para o si prende gol. A voi la scelta.