Lavoro

In mancanza di motivo legittimo è ritorsivo il licenziamento del lavoratore che rifiuta l'accordo novativo

La presunta esternalizzazione non aveva fatto venir meno la necessità della posizione lavorativa ricoperta dalla dipendente che aveva rifiutato un accordo novativo poco prima del licenziamento

di Enrico De Luca, Raffaele Di Vuolo*

Deve considerarsi ritorsivo il licenziamento motivato dall'esternalizzazione delle attività assegnate al dipendente se, in realtà, la posizione lavorativa non viene soppressa e il recesso è disposto a seguito del rifiuto del lavoratore a stipulare con la Società un accordo novativo avente ad oggetto la modifica del livello di inquadramento e la riduzione della retribuzione.

A tale conclusione è giunta la Corte di Cassazione con l' ordinanza del 20 maggio 2021, n. 13781 adottata all'esito del giudizio promosso da una lavoratrice avverso il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimatole dalla società in data 30 novembre 2016.

Nel caso di specie, la Società aveva deciso di sopprimere la posizione di impiegata amministrativa ricoperta dalla lavoratrice a seguito dell'esternalizzazione delle attività amministrative e dell'adozione di sistemi automatizzati di gestione.

A ben vedere la Corte di Appello di Firenze, nel giudizio di reclamo ex. art. 58 L. 92/2012, aveva confermato la statuizione del giudice di primo grado il quale, nel corso della fase sommaria, aveva accertato l'insussistenza di un giustificato motivo oggettivo di licenziamento, tenuto conto che le mansioni espletate dalla lavoratrice erano state, sin dal giorno successivo al licenziamento, assegnate a una collega che, al di là del formale inquadramento, era una "ordinaria impiegata amministrativa pienamente inserita nell'unità produttiva" della Società.

Inoltre, nel corso dell'attività istruttoria era emerso che la decisione di procedere al licenziamento era intervenuta successivamente al rifiuto della lavoratrice di accettare – nell'ambito di un accordo novativo proposto dalla Società – una modifica del livello di inquadramento e la conseguente riduzione della retribuzione relativa al solo superminimo.

Secondo gli ermellini, quindi, la valutazione circa la sussistenza di un motivo ritorsivo del licenziamento era stata assunta dalla Corte territoriale all'esito di un ragionamento congruo e idoneo a valorizzare una correlazione tra il rifiuto della proposta novativa e il licenziamento, osservando che la presunta esternalizzazione non aveva fatto venir meno la necessità della posizione lavorativa ricoperta dalla dipendente, atteso che le mansioni della lavoratrice, a partire dal giorno successivo al recesso, erano state assegnate ad altra impiegata.

Tale decisione si pone in linea con i principi affermati dalla Corte di Cassazione secondo cui il licenziamento deve considerarsi ritorsivo (e quindi nullo) qualora costituisca l'ingiusta e arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore.

Difatti, anche con la decisione n. 31527 del 3 dicembre 2019 la Corte di Cassazione aveva ritenuto ritorsivo il licenziamento in quanto la vera ragione del recesso era consistita proprio nel rifiuto di sottoscrivere, il giorno precedente al licenziamento, un verbale di conciliazione con cui l'azienda proponeva una riduzione del compenso per i successivi due anni.

Nel corso del giudizio era, difatti, emerso che non vi fosse alcun nesso causale tra la ristrutturazione aziendale e la soppressione della posizione lavorativa.

Inoltre, la Suprema Corte con sentenza n. 14928/2015 ha precisato che incombe sul lavoratore l'onere della prova dell'esistenza di un motivo di ritorsione del licenziamento e del suo carattere determinante nella formazione della volontà datoriale di recedere soprattutto qualora il datore di lavoro abbia fornito, anche solo apparentemente, la prova dell'esistenza della giusta causa o del giustificato motivo del recesso.

Dunque, fermo restando il rigoroso adempimento dell'onere probatorio in capo al lavoratore, il licenziamento scaturente dalla reazione a un comportamento legittimo del lavoratore non gradito dal datore viene ritenuto ritorsivo qualora sia finalizzato all'espulsione del lavoratore senza che vi sia un motivo legittimo di licenziamento che, in linea di principio, ne potrebbe escludere il carattere ritorsivo.

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*A cura di: Enrico De Luca – Partner / Raffaele Di Vuolo – Associate, De Luca & Partners

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