Lenzini: «La Juve, papà, il gruppo e un salvataggio esultando alla Chiellini»

di Manlio Gasparotto

Giovedì alle 21 la J Women con il Servette all’Allianz: una vittoria vale i quarti di Champions senza calcoli. Al centro della difesa per 6 partite ha giocato una modenese, che ama la montagna tifava bianconero e sogna in grande senza alcuna paura

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Martina Lenzini, 23 anni, difensore della Juventus Women

Martina Lenzini preferisce la periferia silenziosa allo struscio delle vie del centro, proprio come ama custodire la fascia destra che battersi nella tonnara. Ma in via Lagrange oppure al centro dell’area di rigore si muove senza paura. Fuori dal campo si racconta con il sorriso di chi vive il momento pensando al futuro senza esagerare. Il presente è il Servette, giovedì sera (alle 21 all’Allianz Stadium), partita che vale l’accesso ai quarti di Champions con la Juventus Women, e neppure lo scudetto (+8 sulla seconda) la fa pensare ad altro: «È appena finito il girone di andata...».

Ma voi vincete e basta.
«Vero. Ma non cambia, meglio ragionare gara dopo gara, programmando: le partite sono davvero tante, le energie vanno gestite».
Fra campionato e Coppe 23 partite da inizio stagione, la più importante si gioca domani. Si può dire che state facendo la storia del calcio?
«Oggi sì, grazie ai grandi club che lo sviluppano. A società come la Juventus, che lotta contro ogni discriminazione. Prima quello femminile era un movimento dilettantistico, con presidenti e sponsor che investivano senza alcun ritorno. Ora è globale, con grandi marchi impegnati: i miglioramenti sono evidenti e continueranno».
Oggi siete atlete h24.
«Chi gioca in società che hanno anche il settore maschile sì, ancora non siamo in un calcio dove tutte possono fare solo le atlete. Io sono fortunata, nella Juventus c’è qualsiasi comfort e non devi andare a lavorare per arrivare a fine mese. Sino a qualche stagione fa non sapevi neppure se sarebbe arrivato lo stipendio, oggi posso vivere da calciatrice».
Prima?
«Dieci anni fa ci allenavamo solo dopo le nove di sera».
Settimana scorsa, invece, era a Londra. Quanti colpi bassi in quell’area?
«All’estero hanno astuzia ed esperienza che a noi italiane ancora mancano. Ma se siamo riuscite a fare 0-0 in casa del Chelsea, che segnava dal 2018, forse, consapevolmente o no, qualche colpo lo abbiamo tirato anche noi...».
Il Chelsea ha premuto 90 minuti, ma voi non avete mollato mai.
«Sono più forti, si sa, si sapeva. Ma su quel campo è venuto fuori e tanto il nostro spirito di gruppo, che si era presentato già in casa del Wolfsburg. Quel punto lo volevamo in ogni modo, anche buttandoci sul pallone piuttosto che farlo arrivare in porta».
Dove Peyraud Magnin è davvero speciale.
«Pauline è stata strepitosa, lì come in altre occasioni. Lei ha grande esperienza internazionale e anche quando sbaglia qualcosa ti regala sicurezza. Hai sempre la certezza che dietro lei c’è, con la sua esplosività e grande elasticità. Ma poi è decisiva la nostra coesione. Io ero sicura che se non fossi arrivata su un pallone ci sarebbe arrivata un’altra».

Portiere, portiera...?
«Noi diciamo portiere. Conta poco, a meno che non si facciano prevaricazioni o che il maschilismo voglia emergere non mi tocca».
Fascia o centro? Il vero ruolo di Lenzini?
«Il mio pensiero prima era “da terzino mi trovo meglio”. Ma nel calcio propositivo del mister mi trovo benissimo anche da centrale. Anche come esterno spingo meno rispetto magari a Boattin che attacca, crossa e fa assist. Io sono attenta alla linea difensiva».
Più Barzagli che Cuadrado. E al centro delle Women ha dei professori: Gama e Salvai sono Chiellini e Bonucci.
«Vero, ma c’è anche Sembrant, anche se non ho avuto l’onore e la fortuna di imparare al suo fianco. Al centro ho cominciato a Sassuolo, dove - come dice il direttore (Stefano Braghin) - sono andata per tre anni come all’Erasmus. Lì non avevo Sara, Cecilia e Linda con i loro consigli: ero all’Erasmus, ora faccio il Master».
A proposito, gli studi?
«Ora no, anche se penso di ricominciare con l’Università. Ma non ho ancora pensato quale indirizzo, perché ora mi sto godendo il calcio».
Vive in città?
«A Piobesi. Per star più vicina al campo. In centro vado ogni tanto, a fare un giro turistico o shopping. Ma poco».
Per il Covid?
«No. Il tempo libero è poco e la necessità di riposare tanta quest’anno. Stare a casa è piacevole oltre che importante».
Così può curare al meglio anche l’alimentazione.
«Non sono di quelle che amano cucinare. La difficoltà verrà con le vacanze di Natale, quando tornerò da mia madre e mia nonna. Loro cucinano, e lì è proprio dura».

Nascere sull’Appennino insegna a star soli?
«La tranquillità mi piace, del resto se voglio la città prendo l’auto e ci vado».
Anche da bambina?
«Mi piaceva, poi giocando a calcio ho cominciato a girare, a conoscere gente ad apprezzare il mondo».
Da bambina, fino ai 14 anni giocava con i maschietti.
«I miei compagni di squadra mi hanno sempre portato su un piatto d’argento. Magari le difficoltà c’erano con gli avversari, quando si dicevano “guarda, c’è una ragazza”: se serviva i miei compagni mi hanno sempre difeso».
Se diciamo sci?
«Dico, fortuna che non mi è piaciuto. Abitando in montagna forse non avrei mai giocato a calcio e non avrei immaginato fosse il mio futuro».
Nel tempo libero?
«Playstation».
Ancora calcio?
«Svariamo, ultimamente ho scoperto “Call of duty”».
Tv? Libri?
«Sto finendo La Casa di carta. L’ultimo libro è Il monaco che vendette la sua Ferrari».
Contro il Servette avete l’occasione che sognavate, dopo le imprese resta la responsabilità. Come la “sentite”?
«Non serve tanto parlare, lo sappiamo dentro di noi e lo sentiamo tutte come gruppo, manca l’ultimo capitolo di questa prima parte».
Paura?
«Consapevolezza. Già prima della partita in casa del Wolfsburg, ci credevamo e ci dicevamo che potevamo farcela. Poi a Londra ci siamo dette “un punto lo portiamo via”. Abbiamo sofferto tanto, ma tutte insieme. Ora ci siamo, il nostro obiettivo è solo da prendere».
All’Allianz.
«Giocare in uno stadio è pazzesco. Siamo abituate a giocare davanti a pochi tifosi , la combo stadium-spettatori ti dà una carica incredibile. E poi...»
Poi...
«Sono juventina, la mia prima volta allo Stadium non riuscivo a realizzare dove fossi».
Juventina quanto?
«Ho una famiglia bianconera. Mio papà, Luigi è juventino. Quando ero appena nata i vicini mi avevano regalato una tutina bianca e nera che indossavo a una settimana».
Una Locatelli al femminile.
«Esatto. La Juve era giocare in cortile con papà, dire tutti i nomi dei calciatori, averne le magliette, festeggiare gli scudetti il primo anno di Conte, l’ultimo di Del Piero».
Scelga: un salvataggio alla Chiellini, con esultanza, o un gol decisivo?
«Il salvataggio».
Il suo punto forte?
«Forse da centrale pochi hanno tanta velocità sul piano fisico, ma aggiungo tanta determinazione perché credo che quella sia importante mentalmente».
Non mollate mai.
«Esatto».

14 dicembre 2021 (modifica il 14 dicembre 2021 | 18:43)