di Luca Barbieri

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3. Maggio: come tenere viva l’attenzione

Con il mese di aprile termina la grande fase dell’accusa. D’ora in poi gli articoli subiscono un’evidente rarefazione e perdono soprattutto, fatto salvo per le interviste a Calogero, la prima pagina dei quotidiani. Maggio è comunque scandito ancora da interrogatori e dal trascinarsi di polemiche e interventi. Senza però enormi novità dal punto di vista delle accuse. Nuovo materiale e soprattutto nuove letture vengono fornite dal sequestro del materiale di Negri depositato alla Fondazione Feltrinelli a Milano (per nasconderlo, secondo gli inquirenti, per donarlo alla fondazione, secondo l’imputato). In alcuni quotidiani, soprattutto l’Unità, più direttamente interessati alla prossima scadenza elettorale delle Europee l’attenzione è mantenuta evidentemente più alta. Il 7 aprile viene usato come nucleo informativo attorno al quale costruire ragionamenti che riguardano il tema della sicurezza e della lotta al terrorismo. L’Unità piazza infatti questi articoli come base delle pagine di cronaca.

Il 3 maggio ad esempio l’Unità dedica al caso 7 aprile la metà superiore di pagina cinque del giornale. In testa c’è il resoconto di Michele Sartori da Padova con gli interrogatori a personaggi minori: “Dove nasce l’accusa di banda armata” (e nel catenaccio: “Il magistrato è convinto di poter provare che gli imputati hanno organizzato direttamente parte dei 400 attentati che dall’inizio del 1978 sono stati messi a segno nel Veneto — Imbarazzo della difesa — Gli ultimi interrogatori”). A lato, su tre colonne, “Oreste Scalzone fa sapere…”, un articolo ispirato a una lettera spedita da Scalzone al PM Calogero e pubblicata dall’Espresso. Una lettera scritta, riferisce l’Unità, «fra falsi e insulti, fra svolazzi poetici e visioni apocalittiche». Infine una nota da Roma che informa “Negata a Toni Negri la scarcerazione” e una colonna, “Da Parigi arrivano alibi inutili”, dedicata a una conferenza stampa tenuta a Parigi da un comitato in favore di Negri che altro non è stata che «una demenziale requisitoria contro la magistratura e il PCI». Perché sono inutili gli alibi parigini di Negri in riferimento all’omicidio Moro? «Ma fino a prova contraria — scrive l’Unità – non conosciamo ciò che contengono i dossier della magistratura a differenza degli organizzatori di questa conferenza stampa e né un magistrato né un giornale hanno parlato di una partecipazione diretta del Negri al rapimento di Moro sicché questo alibi per ora non serve a nessuno». Anche il giorno dopo, il 4 maggio, l’Unità dedica al caso 7 aprile la maggior parte di pagina 4 (un articolo su un convegno di Torino che accomuna “operai, magistrati e poliziotti”, la cronaca da Padova e quella da Roma). Molto spazio ma in realtà nessuna novità tanto che, almeno Sartori deve tornare a spiegare (elogiare e sostenere) l’impianto base del teorema Calogero per “riempire” il pezzo.

Sabato 5 il Manifesto arriva lì dove l’Unità era arrivata il 28 aprile. “Forse il supertestimone è Carlo Fioroni”, titola in prima il quotidiano comunista, che come sempre gioca la carte dell’ironia. «Ora, l’identità di questo testimone comincia ad essere abbastanza definita: dovrebbe essere uno che ha partecipato alle vicende politiche degli inizi anni ’70 in Potere operaio e alle successive attività dell’autonomia nascente. Uno che magari ha fatto un sequestro di persona in cui è morto un suo amico. Uno che è stato arrestato e si è pentito. Per esempio Carlo Fioroni». Lo stesso giorno invece l’Unità inserisce a margine di un lungo pezzo da Padova che riporta una lunga chiacchierata con il giudice istruttore Nunziante, “L’indagine iniziata a Padova può portare a inattese conclusioni”, e inserisce, un po’ a sorpresa, il tema delle trame nere (nel catenaccio: “Lo dice il giudice Nunziante, uno dei tre magistrati — Palombarini e i vincoli del segreto istruttorio — La difesa ribadisce: “E’ tutta una montatura” — Una incredibile coda delle trame nere”). In realtà quest’ultima frase della titolazione si riferisce solamente al fatto riportato nelle ultimissime righe del lungo articolo di Sartori: «Il processo, infine, andrà per i prossimi giorni, necessariamente a rilento: inizia lunedì il processo Juliano (una “coda” delle trame nere del ’69) e in esso sono impegnati come collegio tutti e tre i giudici istruttori per lo meno tre giorni». Insomma, solo una coincidenza temporale, mentre dal catenaccio sinceramente si era portati ad aspettarsi una connessione diretta tra le due vicende. Ipotesi che comunque l’Unità avanzerà nei giorni successivi. Sotto l’articolo di Criscuoli da Roma, sull’interrogatorio di Scalzone: “Per tre ore Scalzone parla senza rispondere”. Secondo l’Unità più che di un interrogatorio si sarebbe trattato di un monologo dell’imputato. Anzi, di uno «sproloquio».

Ma ormai per la cronaca sono gli ultimi giorni di sistematica attenzione. Il 7 aprile d’ora in poi può anche essere ridotto a un pezzo solamente (Unità del 6 maggio) solamente per ribadire, di fianco a un articolo di cronaca sui funerali di Antonio Mea, brigadiere ucciso dalle BR, che gli inquirenti «sospettano fortemente» che le telefonate dell’omicidio Moro siano state fatte proprio da Negri e Nicotri. Ma il 6 maggio l’Unità ha preso quello che in gergo si chiama “buco”. Ed è un buco enorme perché Repubblica pubblica come apertura del quotidiano un’esclusiva intervista a Calogero: “Calogero racconta tutto. Le prove del giudice di Padova contro Toni Negri e l’Autonomia”. Il giornale di Scalfari in pratica ci imbastisce tutta l’edizione dedicando al caso la prima pagina (a fianco dell’apertura, un articolo che poi gira a pagina cinque: “Delitto Moro, coinvolti anche Scalzone e Vesce”) e le pagine quattro e cinque. A pagina quattro viene pubblicata un’intervista esclusiva a Nanni Balestrini, che è ancora latitante ed è stato raggiunto telefonicamente a Milano: “Io poeta della rivoluzione perseguitato dalla democrazia”. Quasi a giustificarsi della colpa di dare la possibilità di parola a un latitante, la redazione antepone al pezzo di Bruno Crimi una sorta di introduzione-avvertimento che dà una precisa interpretazioni delle dichiarazioni di Balestrini. Dichiarazioni che possono effettivamente sembrare, a tratti, fuori dal mondo ma di cui Repubblica comunque decide di dare la propria lettura (quasi non si fidasse di quella che potrebbero darne i lettori) come segue:

L’intervista con Balestrini che qui pubblichiamo è un documento importante. Non solo — e non tanto — perché esprime i sentimenti di un latitante ma perché fornisce la registrazione fedele d’una crisi d’identità e valori. Attribuire ogni iniziativa dei giudici a oscuri disegni politici, demonizzare gli avversari mentre si chiede per sé, giustamente, di non essere demonizzati: richiamarsi alla piena libertà d’opinione vigente in Italia e contemporaneamente descrivere gli ordinamenti politici e sociali di questo paese come una Cajenna: ecco cosa emerge dalle risposte di Balestrini. Sulle quali occorre comunque soffermarsi e riflettere, per capire come mai un settore non trascurabile della nostra società sia potuto diventare “scheggia impazzita”.

Una sorta di commento (che normalmente andrebbe pubblicato dopo, o comunque separatamente) con il quale si può anche concordare. Colpisce però la sua collocazione in testa all’intervista e allo stesso tempo (per l’interlinea ridotta e il corsivo utilizzati) fuori dal pezzo. Ma il colpo grosso di Repubblica, come si diceva, è a pagina 5 con la continuazione dell’intervista e Calogero e il pezzo di cronaca giudiziaria da Roma. Il Corriere si salva dal “buco” in extremis. Antonio Ferrari riesce a fare un articolo sull’intervista rilasciata a Repubblica. Nel pezzo “Le prove contro i capi di Autonomia? Aspettate e vedrete dice Calogero”, Ferrari riporta i passaggi principali dell’intervista rilasciata «a un collega de La Repubblica». Probabilmente l’articolo è frutto di una chiacchierata con il collega. L’effetto è quello di avere avuto due interviste al posto di una. Anche il Manifesto il 6 maggio sa dell’intervista rilasciata da Calogero a Repubblica e ne riporta addirittura un brano virgolettato. Su questo brano poi costruisce un pezzo, “Gli eccessi logici del giudice Calogero”, sentendo il parere di due magistrati appartenenti alla corrente di Magistratura Democratica (la stessa di Palombarini). Un parere molto duro nei confronti dell’inchiesta dal quale scaturisce anche un’osservazione interessante sul ruolo della stampa. «C’è da notare — dicono i due magistrati — che Calogero e un certo tipo di ambito giudiziario identificano in Repubblica il portavoce di una linea antiterroristica colta, non rendendosi conto della strumentalizzazione che quel giornale fa di loro».

Solo martedì 8 l’Unità ha un sussulto. Un pezzo sulle prove foniche (“Non solo per il caso Moro prove sulla voce di Negri”) sostiene che queste verranno effettuate anche su alcune telefonate operative. «Telefonate che Toni Negri avrebbe fatto usando il telefono di alcuni conoscenti, per impartire “disposizioni” che secondo gli inquirenti erano dirette a gruppi “operativi” dell’eversione». Da notare l’utilizzo virgolettato di alcuni termini (disposizioni e operativi) per sustanziare e accentuare il carattere fattuale dell’accusa. Giallo poi per l’improvvisa defezione di due periti fonici che hanno rinunciato all’incarico (giustificandosi perché già troppo impegnati) e per questo sono stati messi sotto inchiesta. L’Unità adombra il pericolo di defezioni di massa, come ai processi torinesi delle BR, di periti e giurie popolari per la paura di rappresaglie. La cronaca del 7 aprile a questo punto si interseca con quella del processo Juliano. Sempre da Padova e sempre a firma di Michele Sartori. Fianco a fianco se non, come il 5 maggio, nello stesso pezzo. Continua anche la polemica a distanza con il Manifesto. Con “Garantismo o indulgenza?” Ibio Paolucci attacca il giornale comunista sui dubbi che esprime sull’inchiesta. Mercoledì 9 maggio invece Sartori si getta sull’interpretazione (in effetti ostica) dell’ultimo numero di Autonomia dove ci sarebbe la prova che Calogero ha visto giusto: “Esplicita difesa del partito armato sulla rivista degli autonomi padovani”.
Il Manifesto, che viene indubbiamente battuto dai concorrenti sul piano della cronaca quotidiana, riserva al 7 aprile un’attenzione che potremmo definire “intermittente”, fatta di analisi e interventi. Così, dopo il precedente del 6 maggio il Manifesto torna a parlare dell’inchiesta solo l’11 con due interventi a pagina quattro. Uno di Franco Marrone, “Seguendo la logica del giudice Calogero, Carlo Marx sarebbe penalmente responsabile di insurrezione armata contro lo Stato francese», e un corsivo di Vincenzo Accattatis (che sul 7 aprile poi interverrà più volte anche in alcuni testi) intitolato “Bello di giorno”. La sensazione è che, scelto da che parte stare, il Manifesto stia un po’ alla finestra, commentando le eventuali novità invece di rincorrerle (sia per motivi di risorse ma anche forse di opportunità) e conducendo una battaglia prettamente culturale sull’impostazione generale dell’inchiesta di Calogero. Nei successivi interventi, il 16 maggio, il Manifesto tornerà a chiedere, con un corsivo non firmato (“Non sappiamo quel che diciamo”), chiarezza e notizie certe e, mentre registra un mutamento di clima, continua a lamentare che «dopo quaranta giorni dall’arresto degli imputati si procede ancora e soltanto per indiscrezioni, interviste, dichiarazioni estemporanee e private dei giudici».

Dagli interrogatori oggettivamente esce poco. Non ci sono novità clamorose. Gli spunti vengono offerti essenzialmente da nuovi brani o lettere di Toni Negri, dai quali i quotidiani prendono spunto per sviluppare i due temi forti che si sviluppano nel resto del mese: l’esistenza di una rete internazionale di Autonomia e le connessioni con il terrorismo nero. Il tema dell’unione tra “rossi” e “neri” viene battuto soprattutto dall’Unità (il 18 e il 19 maggio). “Si precisano le accuse contro Negri” rivela l’Unità del 13 maggio. «La notizia è di quelle che fanno spostare l’ago della bilancia da una parte, quella dell’accusa», scrive l’organo del PCI: la macchina da scrivere del professore padovano avrebbe battuto una delle risoluzioni strategiche su Moro. A Ferrari Bravo, invece, verrebbe imputata la bozza originale di un documento di Prima Linea. Tutto questo mentre la difesa «cambia linea», probabilmente perché queste nuove prove sono troppo forti per essere contrastate. Ulteriori prove del legame tra Negri e le BR, che sembra essere la preoccupazione più grande sia per magistrati che per gli organi di informazione, vengono dal legame tra il professore e la rivista Controinformazione, «considerata portavoce delle Brigate Rosse» (Unità del 16 maggio). Uno degli indizi più rilevanti è costituito dalla presenza in un documento trovato in un covo di brigatisti che fa riferimento ad un certo Toni N. Il tema tiene banco per diversi giorni perché lega fortemente l’inchiesta padovana sia a quella per l’attentato di via Fani sia alla vicenda del brigatista Corrado Alunni, nel cui covo è stato trovato il riferimento a Toni N. (“Centro dell’accusa il documento che lega Negri ad Alunni”).

Intanto a Padova il 7 aprile continua a vivere negli incubi dell’università, con “Il rettore che rifiuta misure contro gli autonomi” responsabili di aggressioni alla facoltà di Magistero. Un’università che viene descritta succube delle violenze degli autonomi. «Ecco un nuovo esempio di come l’azione violenta dell’Autonomia nell’Università padovana si avvalga anche di titubanze e debolezze di quelle autorità accademiche che dovrebbero invece intervenire per prime con estremo rigore», commenta l’Unità del 17 maggio.

Il giorno dopo, dalle carte sequestrate a Negri emerge un carteggio che disegnerebbe “Un organigramma internazionale dell’autonomia”, aprendo «un filone internazionale dai contorni già sufficientemente approfonditi». Si salda poi il collegamento tra BR e Autonomia. Il Generale Dalla Chiesa conduce a metà maggio un’importante operazione a Genova contro i brigatisti responsabili dell’omicidio dell’operaio comunista Guido Rossa. Si è trattato di uno degli omicidi politicamente più “folli” tra quelli eseguiti dalle BR, una tappa fondamentale verso il loro declino e il loro completo distacco dalla realtà. Anche questa operazione serve, per vie traverse, a dare forza all’inchiesta di Padova istituendo un collegamento tra uno degli arrestati e Toni Negri. Contemporaneamente, il processo contro il fascista parmigiano Claudio Mutti, che nei primi anni Settanta ha avuto la tessera del PSI, della Camera del Lavoro e anche di Potere operaio, fornisce alla stampa lo spunto per rilanciare la tesi dell’unico partito armato. Non solo della sinistra, come ipotizza il teorema Calogero, ma addirittura di tutto il terrorismo. “La strategia per saldare rossi e neri” titola l’Unità il 19 maggio. Sotto lo stesso occhiello (“Si precisa sempre più il volto del partito armato”) anche la notizia dal capoluogo ligure: “Altri due arresti a Genova I nomi portano a Padova”. Il tutto commentato da un fondo non firmato intitolato “L’intreccio” che sostiene la tesi della saldatura tra terrorismo nero e terrorismo rosso. Eppoi la cronaca fornisce indizi ulteriori. A Padova sono stati diffusi “Volantini taglia sui testi contro Negri” (Unità del 20 maggio). Nel sommario: “Nei libelli si fanno nomi e cognomi di due persone di cui si denuncia anche l’appartenenza al PCI — disgustoso tentativo di speculazione del collegio di difesa — L’intimidazione: un metodo principe degli autonomi”. Un comportamento di stampo squadrista che merita agli autonomi l’attributo di “Nazisti” affibbiatogli nel titolo dell’editoriale dell’Unità in prima pagina. All’interno, a pagina cinque, la prova che dare dei “nazisti” agli autonomi non è proprio una licenza poetica. Da Rieti, dove continua un’inchiesta su Ordine nuovo, si conferma che «i conti tornano: il progetto di unificare sotto un’unica bandiera certe frange tra le più violente della eversione, frange rosse e frange nere, ha vissuto numerose fasi operative». Il titolo del pezzo è “Camerati di Freda con l’autonomia nell’assalto a Lama” e si riferisce all’episodio del ’77, alla cacciata di Luciano Lama dall’Università di Roma, uno dei traumi più significativi nella storia della sinistra italiana negli anni Settanta. Ma il 20 maggio è anche il giorno della notizia dell’affidamento della perizia fonica al professor Oscar Tosi della Michigan University. La notizia, riportata da tutti i quotidiani, porta in campo l’alleato americano. “Già fissato per il 30 un vertice in Usa”, dice Il Giornale nel sommario e continua:

L’indagine sulla morte di Aldo Moro varca l’Oceano Atlantico e si trasferisce, per un accertamento tecnico, negli Stati Uniti: il destino di Toni Negri e di Giusepe Nicotri, almeno in parte, rimane legato alla perfezione di taluni apparecchi elettronici, molto sofisticati, della Università Statale del Michigan […] Oscar Tosi ha assicurato che intende risolvere al più presto il problema […] Le prospettive quindi, per Toni Negri e Giuseppe Nicotri sembrano abbastanza buie […] Per loro in sostanza è un capitolo quasi chiuso.

Ed è anche il giorno in cui tutti i quotidiani riportano il testo della chiacchierata (una sorta di mini conferenza stampa) tenuta da Calogero il giorno precedente. La frase principale, utilizzata dai quotidiani per la titolazione è “Negri è il principale testimone contro sé stesso”.

Dopo Genova la Toscana. A Firenze si scopre un covo di Prima Linea e alcuni degli elementi «fanno pensare a Prima Linea come struttura dell’autonomia organizzata» (Unità del 25 maggio). Tutto questo mentre continua l’afflusso di testi a Padova e Negri si prepara al quinto interrogatorio. Continuano le contestazioni che riguardano le risoluzioni strategiche delle BR (il 26 maggio) e vengono confermati i legami tra Genova e Padova. L’elemento che conferma il legame, per la stampa, è il fatto che uno degli imputati genovesi, Giorgio Moroni, avrebbe conosciuto Toni Negri. «Il giudice Bonetto ha contestato a Moroni in particolare il fatto di avere conosciuto ed essere in rapporti con Toni Negri, ideologo dell’autonomia padovana attualmente in carcere a Rebibbia. Giorgio Moroni avrebbe risposto di essersi incontrato tre volte con Toni Negri: la prima volta all’inizio del 1970; la seconda nel 1972, in occasione di una conferenza tenuta alla facoltà di Lettere dell’Università di Genova. Il terzo incontro con Negri il Moroni lo avrebbe avuto nel febbraio 1979 a Milano, per discutere della preparazione di un convegno sulle centrali nucleari che ebbe luogo alcune settimane dopo a Genova».

L’Unità, mentre gli altri quotidiani oramai glissano vistosamente sulla vicenda Alessandrini, torna a riproporla con un’ipotesi da lei stessa definita «suggestiva ma poco probabile» nell’articolo di Ibio Paolucci “Ordine di uccidere Alessandrini dopo un summit segreto?”. Nell’articolo Paolucci dà già per acquisita una delle ipotesi sulle quali si sta indagando («Esistono elementi più che sufficienti per poter dire che Prima Linea e cioè la organizzazione terroristica che ha rivendicato l’assassinio di Alessandrini, sia il braccio armato della Autonomia Organizzata») e ribadisce la leggenda secondo la quale «Alessandrini confidò ad un amico magistrato di avere riconosciuto nella voce del brigatista che aveva telefonato alla moglie dell’on. Aldo Moro quella del prof. Toni Negri». Il 27 maggio continuano le operazioni giudiziarie “antiterrorismo” che poi consisterebbero nella continuazione dell’interrogatorio di Negri, nell’audizione di nuovi testi a Padova, in una conferenza stampa di Fais che «replica seccamente all’attacco anticomunista del collegio di difesa degli imputati». Le “Nuove indagini fuori Roma” di cui parla l’Unità consistono in pratica nella missione di un giudice partito non si sa per dove non si sa perché: «C’erano quasi tutti i giudici dell’equipe impegnata nell’inchiesta sul caso Moro e “partito armato”. Tra quelli assenti ce n’è uno che manca dal palazzo di giustizia da una ventina di giorni. E’ in missione da un capo all’altro dell’Italia, segno che, a guardare bene, l’indagine in corso non si nutre solo di interrogatori. Ma il lavoro di questo magistrato è ancora coperto, giustamente dal segreto più assoluto».

Il 29 maggio nuova “novità” nell’inchiesta. “Le nuove accuse dei giudici a Negri” titola l’Unità addirittura sottolineato. Ma le nuove contestazioni a Negri si limitano alla lettura di nuove lettere, alcune dall’estero, che sarebbero la conferma di una rete internazionale. In realtà niente di eccezionale, solo la lettura della corrispondenza privata di Negri con alcuni conoscenti. «Per il resto anche stavolta ci troviamo di fronte ad un groviglio di scritti e appunti mostrati al docente come indizi di colpevolezza ma sempre in ordine sparso» scrive Sergio Criscuoli. A fianco la notizia che a Padova Palombarini ha negato la scarcerazione “delle due autonome”: Carmela di Rocco e Alisa Del Re.

Conclusioni di Maggio

Il quadro di maggio resta quasi immutato. Si sviluppano alcuni temi, come la pista internazionale, e alcuni quotidiani, ma più per motivazioni politiche, parlano dei collegamenti con il terrorismo nero. Alcune piccole novità però ci sono. I magistrati intervengono maggiormente sui quotidiani e alcuni elementi, che non vengono però esaltati dalla stampa, modificano leggermente la situazione. Negri e Nicotri infatti, a detta dei magistrati, sono i sicuri registi del sequestro Moro. Però, quasi a mettere le mani avanti, non sono più le prove foniche le prove fondamentali dell’accusa. Se verrà anche la conferma fonica bene, altrimenti bene lo stesso. Le prove, di altro genere, ci sono, sono probabilmente prove testimoniali, ma non verranno rese note a breve. Un dato che stranamente i quotidiani non evidenziano abbastanza.

(11-CONTINUA)