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  • Martedì 10 novembre 2020

La guerra in Nagorno-Karabakh forse è finita

È stato firmato un accordo in cui l'Armenia dovrà cedere molti territori all'Azerbaijan: il presidente azero ha dichiarato vittoria, e arriveranno i peacekeeper russi

Soldati armeni fotografati a ottobre durante una pausa (Alex McBride/Getty Images)
Soldati armeni fotografati a ottobre durante una pausa (Alex McBride/Getty Images)

Armenia e Azerbaijan hanno firmato una tregua nella guerra per il Nagorno-Karabakh, un territorio separatista collocato in Azerbaijan ma controllato dall’Armenia. La tregua, negoziata dalla Russia, che impiegherà le proprie truppe per azioni di peacekeeping, riflette le condizioni sul campo, dopo poco meno di due mesi di guerra: l’Azerbaijan ha conquistato molti territori prima occupati dall’Armenia, arrivando a pochi chilometri da Stepanakert, la capitale del Nagorno-Karabakh, mentre l’esercito armeno è stato costretto a ritirarsi un po’ su tutti i fronti, cedendo molto terreno. L’accordo costringe l’Armenia a concessioni territoriali durissime, ed è già stato descritto dal presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev come una vittoria per il suo paese.

La guerra è cominciata il 27 settembre e, anche se non ci sono informazioni certe su chi abbia cominciato gli scontri, è ormai chiaro che è stato l’Azerbaijan ad approfittarne. Il presidente azero Aliyev vede nella guerra un’operazione di riconquista per recuperare il Nagorno-Karabakh, un territorio che l’Azerbaijan perse in una guerra con l’Armenia all’inizio degli anni Novanta. La popolazione del Nagorno-Karabakh è a maggioranza armena, ma geograficamente la regione si trova all’interno dell’Azerbaijan. Dagli anni Novanta, dopo la vittoria dell’Armenia nella guerra, il Nagorno-Karabakh è rimasto sotto l’influenza armena: si autoproclama stato indipendente, ma non è riconosciuto da nessun paese al mondo, e di fatto è territorio armeno.

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Il momento di svolta nella guerra è arrivato domenica, quando il presidente azero Aliyev ha annunciato la conquista di Shusha, la seconda città del Nagorno-Karabakh, la cui posizione è fondamentale per i rifornimenti dell’Armenia. Questa domenica «sarà ricordata nella storia come il giorno della vittoria gloriosa», aveva detto Aliyev, aggiungendo che avrebbe continuato a combattere finché tutto il Nagorno-Karabakh non fosse stato conquistato. Il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan, poco dopo si era congratulato con Aliyev per la conquista: la Turchia è il principale alleato, finanziatore e sostegno militare dell’Azerbaijan in questa guerra. Il governo armeno, invece, aveva negato di aver perso Shusha, che in armeno è chiamata Shushi: «Nonostante le distruzioni pesanti, la città-fortezza regge ai colpi dell’avversario», diceva domenica un comunicato del ministero della Difesa, anche se in seguito è diventato chiaro che la situazione non era così stabile.

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Shusha è importante per due ragioni: è situata su una montagna che domina la capitale del Nagorno-Karabakh, Stepanakert, dalla quale dista una ventina di chilometri circa; inoltre consente di controllare la principale via di comunicazione tra l’Armenia e il Nagorno-Karabakh, il cosiddetto «corridoio di Lachin», attraverso il quale corre una strada che fu costruita negli anni Novanta grazie, in parte, ai contributi della diaspora armena all’estero. Questa strada è fondamentale perché l’Armenia e il Nagorno-Karabakh non sono confinanti: li divide una grande area che ufficialmente apparterrebbe all’Azerbaijan ma che di fatto, anche lei, è stata occupata dagli armeni negli anni Novanta. La mappa qui sotto, fatta da un esperto di politica estera, è piuttosto chiara: in marrone si vede il Nagorno-Karabakh, in giallo il corridoio di Lachin, in grigio i territori che circondano la regione e che sono occupati dagli armeni.

In queste settimane l’Azerbaijan ha fatto molte conquiste in questi territori di collegamento, soprattutto a sud, in modo da tagliare fuori il Nagorno-Karabakh dal resto dell’Armenia. Per farlo, e poi per lanciare l’attacco a Stepanakert, che dista pochi chilometri, è necessario prima conquistare Shusha (c’è anche un’altra strada che collega i due territori, secondaria: anche quella è sotto attacco). Per gli armeni, persa Shusha è praticamente persa la guerra, anche perché l’esercito armeno è peggio armato e peggio addestrato.

Per l’Azerbaijan, perdere la guerra contro l’Armenia negli anni Novanta fu un trauma. L’Armenia è un paese relativamente povero e senza sbocchi sul mare, con un terzo della popolazione e un terzo del prodotto interno lordo dell’Azerbaijan. Allora, gli azeri furono colti di sorpresa dalle vittorie degli armeni. Questa volta è il contrario: l’Azerbaijan ha ricevuto aiuti militari ingenti dalla Turchia, il suo principale alleato nella regione, e il suo esercito è equipaggiato con armi di ottimo livello, e soprattutto con droni di fabbricazione turca e israeliana, che sono molto sofisticati e i soldati armeni non riescono ad abbattere. I soldati e gli ufficiali azeri sono stati addestrati dai turchi secondo gli standard della NATO, di cui la Turchia è paese membro. Inoltre gli armeni hanno accusato la Turchia e l’Azerbaijan di utilizzare in combattimento mercenari provenienti dalla Siria.

Ormai incapace di organizzare un contrattacco, l’Armenia è stata costretta ad accettare condizioni umilianti per il cessate il fuoco. L’Armenia inoltre deve affrontare una crisi di rifugiati molto pesante: secondo fonti armene, 150 mila civili sono già fuggiti dal Nagorno-Karabakh verso l’Armenia: è una cifra enorme per una popolazione complessiva di meno di tre milioni di persone.

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Secondo l’accordo raggiunto martedì, la Russia invierà in Nagorno-Karabakh 2.000 soldati e 100 mezzi corazzati, per operazioni di peacekeeping. I soldati saranno dislocati lungo i confini del Nagorno-Karabakh, e lungo una striscia di terra per consentire i collegamenti tra l’Armenia e la regione. Il Nagorno-Karabakh propriamente detto rimarrà protetto dai soldati russi, mentre tutto il resto delle aree occupate dall’Armenia passerà sotto il controllo dell’Azerbaijan: sia i territori conquistati finora, che gli azeri potranno tenere, sia altri territori occupati, che dovranno essere restituiti gradualmente di qui all’1 dicembre. Shusha rimarrà sotto il controllo dell’Azerbaijan. Se si guarda alla mappa sopra, in pratica l’Azerbaijan otterrà tutti i territori colorati in grigio, più altre piccole aree a nord e a est del Nagorno-Karabakh.

L’Armenia, inoltre, dovrà concedere all’Azerbaijan la creazione di un secondo corridoio per collegare l’Azerbaijan alla regione di Nakhcivan, un pezzo di territorio azero geograficamente separato dal resto del paese. L’ONU sorveglierà le operazioni di ritorno dei rifugiati nei loro territori: sia quelli armeni scappati di recente sia quelli azeri scappati 30 anni fa.

«Questo accordo pone fine a un’occupazione durata anni. Questo accordo è una nostra vittoria gloriosa!», ha scritto Aliyev su Twitter, aggiungendo che la guerra è terminata con la «sconfitta dell’Armenia». Aliyev ha parlato anche del coinvolgimento di truppe turche nelle operazioni di peacekeeping, ma per ora non ci sono notizie a riguardo. Nikol Pashinyan, il primo ministro dell’Armenia, in un post su Facebook ha scritto che la firma dell’accordo è un atto «incredibilmente doloroso per me e per la nostra gente».

Dopo l’annuncio delle condizioni della tregua, a Yerevan, la capitale dell’Armenia, gruppi di manifestanti hanno occupato il palazzo del Parlamento. Alcuni video pubblicati sui social network sembrano mostrare Ararat Mirzoyan, il presidente del Parlamento, trascinato fuori dalla sua auto e picchiato. Non è possibile confermare l’autenticità di questi video, ma l’ufficio del primo ministro ha fatto sapere al Financial Times che Mirzoyan si trova ricoverato in ospedale. Altri manifestanti sono entrati nel palazzo del governo e hanno spezzato la targa con il nome di Pashinyan, chiamandolo traditore.

I manifestanti occupano il palazzo presidenziale armeno a Yerevan, la capitale. (AP Photo/Dmitri Lovetsky)

Prima dell’accordo firmato martedì, nelle scorse settimane erano già stati annunciati tre cessate il fuoco: due negoziati dalla Russia e uno dagli Stati Uniti, tutti non rispettati. Ogni volta i combattimenti erano ricominciati a poche ore dalla firma dell’accordo. Questa volta, però, ci sono più possibilità che l’accordo regga, perché è stato pubblicamente riconosciuto dai leader dei due paesi e soprattutto a causa del coinvolgimento dei peacekeeper russi. L’accordo ridisegna la mappa del Caucaso meridionale, una zona da decenni molto instabile. I peacekeeper russi rimarranno in Nagorno-Karabakh per cinque anni: questo potrebbe garantire una tranquillità momentanea, che potrebbe non durare, soprattutto dopo che l’Azerbaijan è arrivato molto vicino a conquistare tutto il territorio che considera come proprio.

Da settembre a oggi nella guerra sono morte almeno mille persone, ma alcune stime arrivano a 5.000 morti. Tra questi ci sono tanti civili, perché sia l’esercito armeno sia quello azero, pur negandolo, hanno colpito città e centri abitati. Sono morti 54 civili armeni e 91 azeri: i morti non militari non erano mai stati così tanti in 25 anni di scontri.