Esercizi dell’attesa per futuri padri, di Antonino Pintacuda

Ci sono libri-soglia e libri-mondo, libri che ti spalancano nuovi pensieri, come la luce del sud che, indolente, filtra dalle vertebre di una serranda abbassata nel meriggio per sfuggire alla canicola.
Questo libro l’ho aspettato mentre mio figlio cresceva nel grembo di mia moglie, mi ha accompagnato nei nove mesi in cui una nuova vita veniva a trasformare la mia.

In questi mesi ho cercato di leggere il più possibile. Ma i libri esplicitamente dedicati ai padri sono pallide imitazioni, ironiche pantomime della ricca bibliografia che esiste per le future mamme. Interi corsi preparto dedicano le briciole a noi padri, su 36 ore di corso solo tre sono state dedicate alla corretta installazione dei seggiolini in auto. Come se il padre fosse solo un portatore. Poi arriva questa silloge e spariglia ogni convinzione: la pelle si fa diafana e la voce diventa canto, preghiera e poesia.

Per quelle strane cabale del destino, Paolo Di Paolo – che ha firmato la prefazione al primo libro di Bisanti – nell’incipit di “Lontano dagli occhi” è riuscito a rendere presente questa assenza. Non ci sono aruspici che sanno interpretare le viscere di un futuro padre in cerca di prodigi

«Un uomo che sta per diventare padre non lo riconosci da niente. Nessuno gli cede il posto, nessuno gli fa largo, nessuno suppone di doverlo proteggere, o compatire. Può uscire con una ragazza, bere con lei, fare il brillante: nulla, della sua attesa, sarà svelato. Può lui stesso, per qualche ora, dimenticare, e non sarà certo il corpo a ricordarglielo. Affamato, eccitato, stanco, però come sempre.
Se infine non si troverà lì – nei pochi lunghissimi istanti in cui, dal corpo della madre, verrà alla luce il figlio – niente potrà avvertirlo: non un presagio, un campanello, un dolore, un acquazzone, niente. Non resteranno segni addosso. Dovrà, per qualche via, essere raggiunto dalla notizia: svegliandosi nell’albergo lontano in cui è o sentendo di perdere un battito, prigioniero di un mezzo di trasporto ormai in ritardo.
E comunque, è nato, è nata, non sarà come dire sei padre. C’è una strada, un ponte da percorrere, corto qualche mese o magari mezzo secolo».

Di questo ponte da percorrere Bisanti ha tracciato tratteggi e campiture sin dal primo momento in cui inizia la vita a farsi strada tra l’incanto e la meraviglia, il futuro padre scrive che non c’è spazio per le favole che già conosce, di fronte a una vita che sta per principiare c’è “solo una resa al mistero”. La gravidanza diventa “un apprendistato/che si esegue sulla pelle”. Un dolore accennato, una vita che non giunge a compimento resta in filigrana, pagine che vibrano ed entrano in risonanza con ogni tribolazione.
Ma “la vita è più grande/
di un solo giorno di sangue”.

“L’attesa rivive davanti alla finestra
 nei piccoli abiti di fata
che asciugano sullo stendino,
pentagramma di note
disposte alla prima esecuzione”.

Solo un essere alato, amico delle muse ha potuto intrecciare sillabe e consonanti per farne una collana di perle che attraversa con passo lieve dolori immensi e altrettanto immense gioie.

L’attesa è compiuta, con scelta sapienziale di parole e metafore, Bisanti trasforma la poesia in preghiera e quella camera diventa una finestra su ogni mondo.

 

Marco Bisanti, Nella camera. Esercizi dell’attesa.
AnimaMundi Edizioni. Otranto, br., pp. 80, cm 12×24. (Piccole Gigantesche Cose).

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