La foce di un fiume, il Birgi, in epoca romana doveva essere una sorta di porto canale. Era qui, in questo lembo di Sicilia occidentale che si affaccia sul Mediterraneo, che secondo alcuni precisi studi arrivavano le navi romane provenienti dall'Africa per scaricare le merci. In epoca romana, dopo la battaglia delle Egadi del 241 a.C., che segnò la sconfitta dei cartaginesi che fino ad allora avevano governato questo lembo di Sicilia occidentale, il più vicino porto, quello di Drepanum, l'odierna Trapani, cadde in disgrazia per via del sostegno che era stato dato al generale Amilcare che aveva fortificato la città. I romani crearono così un nuovo approdo per le loro navi, a Birgi, sulla costa, a sei miglia dalla più vicina delle isole dell'arcipelago delle Egadi, Levanzo, nel cui mare i romani assaltarono e vinsero contro la flotta di Cartagine.

Una scoperta archeologica, una nave romana oneraria, fatta su un fondale di dieci metri, ad appena sessanta metri dalla costa individuata adesso come spiaggia di Marausa, a poca distanza dalla foce del fiume oggi non più navigabile come era in epoca di dominazione romana, conferma ancora di più l'ipotesi dell'esistenza qui di un porto canale e sulla terra ferma di un emporium , dove le merci scaricate dalle navi, dalla ciurma fatta da marinai africani, venivano raccolte, pronte per essere trasferite nella città di destinazione, Roma su tutte. Non è la prima nave romana scoperta in queste acque, tra i preferiti dai trapanesi e dai turisti, acque cristalline e fondo sabbioso.

Il mare davanti a Marausa ha restituito una seconda nave romana, dopo la prima scoperta nel 1999. Quella di oggi giace su un fondale di dieci metri, attorno anfore, alcune con insegne, altre con dentro ancora ciò che contenevano. La precedente nave romana fu trovata da due sub. Ancora oggi a fare la scoperta è stato un altro sub, Francesco Brascia, un dipendente del ministero della Difesa in servizio all'aeroporto militare di Birgi, che ha avvertito Capitaneria e Soprintendenza del mare. «Si tratta di una nave oneraria - confermano dalla Soprintendenza del Mare - ovvero addetta ai trasporti commerciali, scoperta importantissima». Ad immergersi fino a raggiungere i resti della nave è stato il gruppo di intervento della Sopmare coordinato dal responsabile del gruppo subacqueo Stefano Vinciguerra, a dare assistenza un battello della Guardia Costiera al comando di Giuseppe Giacalone. «L’immersione  - spiegano i sub - si è svolta a circa 60 metri dalla costa, dove è risultata subito visibile una porzione di circa dieci metri di un relitto sostenuto da un costone di sabbia, posizionato parallelamente alla costa. Proprio tra la sabbia sono stati individuati innumerevoli frammenti di anfore».

«Abbiamo prelevato - dice la Soprintendente Valeria Li Vigni - tre reperti per le necessarie indagini diagnostiche: di questi uno presenta sull'orlo un’iscrizione, l'altro sotto il collo porta incise due lettere A e F e il terzo è una porzione di anfora contrassegnata da un’incisione che ricorda una torre». I reperti prelevati dalla nave di Marausa, orli di anfora africana, sono attestabili alla tarda età imperiale - dichiara la Soprintendente – proseguiremo adesso le ricerche di questo relitto di cui si vede parte del fasciame e alcune ordinate, oltre numerosi frammenti di anfora. Le anfore - continua Valeria Li Vigni - venivano utilizzate per il trasporto di derrate alimentari». La scoperta appena fatta provoca il ricordo del prof. Sebastiano Tusa, il precedente Soprintendente del Mare, assessore regionale con l'attuale governatore Musumeci, morto a marzo 2019 in un incidente aereo ad Addis Abeba. La Soprintendente di oggi era sua moglie e subito lei ricorda le convinzioni che il marito espresse quando fu scoperta la prima nave romana a Marausa: «Ciò confermerebbe la presenza di un emporium, come aveva già ipotizzato Sebastiano Tusa al momento della scoperta del primo relitto di Marausa, recuperato a 500 metri di distanza ed oggi esposto al Baglio Anselmi di Marsala» .
Quello scoperto nel 1999 è il più grande relitto dell’epoca mai tirato fuori nei nostri mari, lungo più di venti metri e largo nove, era a tre metri di profondità e 150 dalla riva, rimasto protetto da argilla e posidonia. Il restauro mise assieme settecento pezzi, di diverse misure, tra i 40 centimetri e il metro di lunghezza. Da quando si è insediato all'assessorato regionale Beni Culturali, questa è la prima scoperta che inorgoglisce l'assessore Alberto Samonà, uomo della Lega in terra di Sicilia.

«Marausa si conferma un importante luogo di approdo - sottolinea Samonà - proprio come ipotizzato da Sebastiano Tusa. Questo secondo rinvenimento, che rafforza la teoria dell’esistenza nell’area di un emporium, conferma l’interesse dell'assessorato ad approfondire le indagini su uno specchio d’acqua che ci ha già restituito una delle più interessanti navi onerarie romane di età tardo antica che è stata recuperata, restaurata e musealizzata secondo una modalità che ha trovato in Sebastiano Tusa un fermo sostenitore. Sono certo che le indagini che la Sopmare avvierà ci daranno conferma di questa ipotesi che, rafforzata da questo secondo rinvenimento, ci stimola a proseguire nell’attività di ricerca, tutela e valorizzazione del nostro patrimonio sommerso. Un nuovo sorprendente risultato - dice ancora l’assessore  - favorito dalla collaborazione con i privati, che sempre più, grazie all’azione di sensibilizzazione su cui molto si sta spendendo il Governo Musumeci, si rivelano preziosi nei ritrovamenti archeologici. Il potenziamento delle ricerche in mare è una delle nostre priorità».

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