Economia

Se paghi, i dipendenti li trovi

Lo rivela un report dell’European Trade Union Institute: le maggiori difficoltà nel trovare e trattenere la forza lavoro riguardano quei settori in cui il lavoro è di bassa qualità e poco retribuito
Credit: Wework.com
Azzurra Rinaldi
Azzurra Rinaldi economista
Tempo di lettura 4 min lettura
12 aprile 2023 Aggiornato alle 06:30

È probabile che finora ve lo siate sempre chiesto. Ma ora è stato finalmente pubblicato un report dello European Trade Union Institute il cui titolo è Labour shortages – turning away from bad jobs, letteralmente “Carenza di manodopera: allontanarsi dai cattivi lavori”.

Cosa sta accadendo? In Unione europea, il 2022 ha segnato un cambio di passo: oltre il 25% delle aziende ha riferito di problemi relativi al processo di produzione. E questi problemi derivavano dalla carenza di manodopera.

Ed ecco la rivelazione: le maggiori difficoltà nel trovare e trattenere la forza lavoro sono state osservate in quei settori in cui il lavoro è di bassa qualità e poco retribuito.

Cambiano i valori

Lo studio presenta alcune osservazioni interessanti. Una su tutte: i settori che stanno facendo più fatica nel trovare persone da assumere, prima della pandemia impiegavano soprattutto persone relativamente fragili (verrebbe da pensare: proprio come policy aziendale?). Nello specifico, la maggior parte della loro forza lavoro era composta da chi non aveva qualifiche particolarmente elevate, da giovani, da migranti, ovvero da alcune delle tipologie di persone che sono state colpite più duramente dalla pandemia. Ed è possibile che una volta terminata l’emergenza, a fronte di maggiori possibilità di scelta, queste persone abbiano deciso di cercare di meglio.

Servono nuove skills?

Quando interpellate, le aziende rispondono in maniera pressoché univoca: mancano le competenze. C’è bisogno, a esempio, di un numero maggiore di persone laureate nelle materie Stem. Ma anche: bisogna che le persone inizino a muoversi, che si spostino dove hanno probabilità più elevate di trovare il lavoro giusto per loro.

Ma la verità è che i settori che rimangono più scoperti sono quelli a bassa intensità di capitale umano, ovvero quelli nei quali le competenze professionali richieste sono comunque piuttosto modeste. E se proprio vogliamo parlare di mobilità, allora ricordiamo ancora una volta come la forza lavoro migrante sia spesso sovraqualificata e sottopagata. Quindi, il problema probabilmente non è da cercarsi in questo ambito.

No, servono posti di lavoro migliori (e più retribuiti!)

Il tema è delicato e bisogna trovare una soluzione. Ma, per farlo, occorre cercare nel posto giusto. Secondo il report Oecd The post-Covid-19 rise in labour shortages del 2022 (che possiamo tradurre come “L’aumento della carenza di forza lavoro nel periodo post-Covid”), non sono, appunto, le competenze (o la loro mancanza) l’elemento scatenante. In questo studio si analizza la situazione dalla prospettiva delle lavoratrici e dei lavoratori. E chi ha lasciato dei posti di lavoro in cui non è più voluto tornare lamenta la pressione eccessiva a cui era sottoposto, l’impossibilità di gestire il proprio tempo, il fatto di non avere orari.

E (aggiungerei, non sorprendentemente) dimostra, dati alla mano, che il lavoro in queste aziende era particolarmente mal retribuito, anche a parità di settore. Un dato su tutti: a rimanere scoperti sono stati soprattutto quelle imprese nei quali la percentuale di lavoratori che guadagnavano meno del 60% del livello di retribuzione medio del settore.

Ecco perché manca chi lavori…

Possiamo quindi spiegare questa tendenza diversamente: non è che le persone non abbiano più voglia di lavorare. Non solo, perlomeno. Il report su questo punto è molto chiaro: siamo di fronte a uno shifting valoriale. E, forse per la primissima volta a livello sistemico, iniziano a mancare le persone che siano disposte a lavorare in condizioni estenuanti e per un salario da fame. E allora, non si può parlare propriamente di crisi del lavoro. Piuttosto, di crisi del lavoro di bassa qualità.

E allora, proviamo a ribaltare la prospettiva: è efficiente, per un’impresa, non riuscire a trovare o trattenere forza lavoro? Ha senso in una strategia di lungo periodo? O non sarà piuttosto il caso di iniziare davvero a valorizzare le competenze a livello aziendale? E a livello istituzionale, ancora una volta, siamo sicuri di non voler provare a mettere sul tavolo il tema del salario minimo?

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